Iniziamo il nuovo anno alla grande! Questo gennaio ci regalerà delle belle soddisfazioni, ecco una bella selezione di libri che troverete sugli scaffali da gennaio 2025, alcuni me li sono già segnati. Come sempre ho inserito quelli che mi sono sembrati più interessanti e aderenti ai gusti della community.
INIZIAMO!
Un’appassionante saga generazionale che attraversa un secolo di storia italiana, dalla fine dell’Ottocento agli anni del benessere, passando per due guerre mondiali, il ventennio fascista e i mesi dell’occupazione nazista. Una scrittura ammaliante che, come una sorgente magica, riporta alla luce le vicende di donne normali eppure eccezionali, tra sogni premonitori e tradizioni popolari, gioie quotidiane e amori predestinati. Perché l’abbondanza non è ancora finita…
In un piccolo paese dell’Italia del ‘900, vive un’umile famiglia come tante. Eppure le sue donne hanno un dono speciale. I Contini sono una famiglia come tante, lì a Valchiara, un piccolo paese del centro Italia affacciato sul mare. Benvoluti e gran lavoratori, conducono un’esistenza povera ma dignitosa. Poi qualcosa cambia quando la giovane Beata, a dispetto delle proteste della madre, decide di farsi assumere alla Regia Fabbrica dei Sigari. Perché un misterioso miracolo si produce in lei: è la sua abbondanza, un dono che la rende la beniamina delle colleghe zigarare e il bersaglio dell’occhiuto sospetto dei controllori della fabbrica. E dopo di lei anche sua figlia Clarice e la nipote Antonia saranno benedette e maledette da questo prodigio, ciascuna a modo suo. Tuttavia l’abbondanza non è per sempre, può sparire da un momento all’altro a causa di un grande dolore. E di dolori ne vivranno tanti, Beata, Clarice e Antonia, vittime della violenza della Storia ma capaci di affrontare e superare ogni difficoltà, anche grazie a un’altra benedizione, l’amore puro e incondizionato dei loro adorati mariti.
Dall’autrice di Un’estate con la Strega dell’Ovest, un nuovo romanzo magico, un omaggio ai giardini segreti dell’infanzia che ci incoraggia ad affrontare le nostre ferite, ad accettarle e a convivere con esse.
C’era una volta una grande villa in stile occidentale dove erano vissuti i Burness, prima di tornare in Inghilterra allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel parco, ormai abbandonato, avevano giocato generazioni di bambini. Una di loro, Terumi, è ora un’adolescente in conflitto con i genitori. La sua famiglia è stata colpita da una tragedia difficile da superare e lei ha trovato rifugio nei racconti del nonno di un’amica. Ma, come tutti sanno, anche le storie più incredibili hanno un fondo di verità, e Terumi è venuta a conoscenza dell’esistenza di un giardino segreto a cui si può accedere pronunciando una formula magica davanti a un antico specchio di villa Burness. Ha quindi inizio la sua avventura in un mondo fantastico strettamente intrecciato alla realtà che la porterà a scoprire la verità sulla sua famiglia e su se stessa.
Marzo 1901, l’amata regina Vittoria è morta e il figlio, ormai anziano, ha preso il suo posto sul trono. Nella città di Norwich, la giovane Edith Holler trascorre le sue giornate tra i chiassosi e pittoreschi abitanti dell’Holler Theatre, di cui il padre è direttore e proprietario. Discendente di una famiglia di attori e impresari, Edith è una dodicenne brillante e curiosa, vittima tuttavia di un’oscura profezia secondo la quale il teatro è destinato a crollare, e lei a morire, se dovesse mai lasciare le sue stanze. Affascinata dai racconti della città che conosce solo da lontano e vorace lettrice delle sue leggende – tra storie di fantasmi, antichi re e cavalieri –, Edith decide di scrivere un’opera teatrale tutta sua: un adattamento della leggenda di Mawther Meg, una donna vissuta centinaia d’anni prima che, si dice, abbia salvato la città da un’invasione di tarli e abbia creato una leccornia divenuta nel tempo rinomata in tutto il paese. Edith, tuttavia, è convinta che qualcosa non quadri in quella storia e che la vicenda nasconda qualcosa di molto più oscuro e terribile, per questo vuole raccontarla tramite ciò che conosce meglio: il teatro. Quando, però, suo padre annuncia all’improvviso il suo fidanzamento con una donna sconosciuta, strana quanto imponente, di nome Margaret Unthank, facoltosa ereditiera della famiglia che continua a produrre la crema inventata da Mawther Meg, Edith si trova a dover proteggere il padre, il teatro e la sua opera dalle minacce che questa nuova situazione porta con sé. Ricca di personaggi indimenticabili e impreziosita dalle illustrazioni di Edward Carey, “Edith Holler” è una favola sorprendente, affascinante e moderna sul teatro e sulla sua potenza, ma soprattutto sulla lotta di una giovane donna pronta a tutto pur di salvare ciò che ama e realizzare i suoi sogni.
La leggenda dei Rosacroce ha influito in modo determinante sull’evolversi del pensiero occidentale moderno. Se il “pensiero magico” è sopravvissuto al razionalismo, al positivismo e al materialismo, lo si deve in gran parte al fascino di alcune opere particolari e sotterranee. In questa edizione, Fusco illustra e commenta il “D.O.M.A. (Deus Optimus Maximus Amen) Physica – Metaphysica et Hyperphysica”, che è la trasposizione settecentesca di testi della prima metà del Seicento. Il D.O.M.A. consiste di una ventina di tavole sinottiche, in cui è compendiata la dottrina base dei Rosacroce, il loro concetto della Divinità, la loro immagine dell’Universo e del luogo che l’Uomo occupa in esso. Tale trattato si presenta come testo di base su cui dovevano meditare gli adepti della fratellanza Rosacroce per aprire la loro consapevolezza alla sapienza occulta, facendo appello a precise facoltà dell’intelletto umano.
L’inverno si tinge di giallo nella campagna inglese ad Alconbury Hall, tra battute di caccia alla volpe, sparizioni misteriose e tormente di neve e di cuori.
Derbyshire, dicembre 1924. È un freddo Natale ad Alconbury Hall, la residenza di campagna della nobile famiglia Lennox. Così freddo che nemmeno generose dosi di sherry riescono a riscaldare la mente e il cuore di Lady Millicent Carmichael, mentre detta le sue scandalose memorie alla nuova segretaria. Eppure, la giovane assistente improvvisata, che risponde al nome di Beatrice Bernabò detta Miss Bee, non potrebbe avere cuore e mente più caldi, anzi, incandescenti. Merito forse della splendida atmosfera di Alconbury Hall, coi camini accesi e scoppiettanti, le cene eleganti, le singolari e allegre tradizioni britanniche da onorare. Merito più probabilmente del visconte, l’affascinante Julian Lennox. Né va tralasciata l’eccentrica combriccola di convitati, a cominciare dal tenebroso Alexander, cugino di Julian con ascendenze russe, bello in maniera insopportabile ma dall’aria cupa e angustiata, un vero principe d’inverno. Beatrice però ancora non riesce a cogliere il sottobosco di tensioni che attraversa quella conturbante atmosfera natalizia. Tensioni che presto sfoceranno in eventi di crescente gravità: l’accusa di furto è soltanto l’inizio… Riuscirà Miss Bee a venire a capo dell’imprevedibile e pericoloso enigma?
«Katie contiene i miei omicidi più inquietanti ed è sicuramente il mio romanzo più crudele. Scriverlo è stato divertente. Da morire». – Michael McDowell
Quando Philomena Drax riceve una lettera dal nonno, caduto nelle grinfie della crudele famiglia Slape che mira ai suoi soldi, si precipita in suo aiuto. Ma non ha fatto i conti con Katie Slape, giovane selvaggia, ladra spietata, veggente assassina. Fra sedute spiritiche, incendi, spettacoli di cabaret e due colpi di martello, le due si rincoreranno come in una danza macabra nell’America della Gilded Age. Perché nessuno sfugge alla furia di Katie.
Nadia Terranova ci consegna con queste pagine il suo romanzo più personale e più intenso, che ci interroga sul potere della memoria, individuale e collettiva, e sulla nostra capacità di attraversarla per immaginare chi siamo.
C’è una donna in questa storia che, di fronte alla figlia appena nata, ha una sola certezza: da ora non potrà mai più permettersi di impazzire. La follia nella sua famiglia non è solo un pensiero astratto ma ha un nome, e quel nome è Venera. Una bisnonna che ha sempre avuto un posto speciale nei suoi sogni. Ma chi era Venera? Qual è stato l’evento che l’ha portata a varcare la soglia del Mandalari, il manicomio di Messina, in un giorno di marzo? Per scoprirlo, è fondamentale interrogare la Mitologia Familiare, che però forse mente, forse sbaglia, trasfigura ogni episodio con dettagli inattendibili. Questa non è solo una storia di donne, ma anche di uomini. Di padri che hanno spalle larghe e braccia lunghe, buone per lanciare granate in guerra. Di padri che possono spaventarsi, fuggire, perdersi. Per raccontare le donne e gli uomini di questa famiglia, le loro cadute e il loro ostinato coraggio, non resta altro che accettare la sfida: non basta sognare il passato, bisogna andarselo a prendere. Ritornare a Messina, ritornare fra le mura dove Venera è stata internata e cercare un varco fra le memorie (o le bugie?) tramandate, fra l’invenzione e la realtà, fra i responsi della psichiatria e quelli dei racconti familiari.
Gli avvenimenti che ebbero luogo a Nagyrév, mostrando gli orrori di cui è capace la vita domestica e le forme di resistenza alle sopraffazioni di genere, possono essere una finestra utile, e dolorosa, per capire il presente.
Zsigmond Danielovitz, incaricato di indagare sul cadavere di un’anziana contadina, è un uomo indebolito dalla guerra, ma vigile. E così ci mette poco a scorgere, dietro gli occhi degli abitanti di Nagyrév, qualcosa di sinistro. Nagyrév è un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, l’anno è il 1929 e il benessere, in quella ristretta comunità rurale, non arriva. Zsigmond Danielovitz si rende presto conto che la morte della donna sulle sponde del fiume Tibisco non è che l’anello di una lunga catena di scomparse e incidenti che da tempo coinvolgono il piccolo villaggio. “La levatrice di Nagyrév” racconta un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei ruoli: le donne uccidono gli uomini, si vendicano. Superstizione, violenze, miseria e soprusi sono i protagonisti delle vite che si incrociano in questo affresco rurale, dove a fare le spese di appetiti e frustrazioni sono sempre le donne. Le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano creano situazioni insostenibili e sofferenze ingiustificabili per mogli e figlie, anziane e ragazze. Personaggio chiave, intorno al quale girano le storie di Nagyrév, è la misteriosa Zsuzsanna, levatrice dal passato fumoso, spesso etichettata come «strega» dai suoi concittadini, temuta e, ogni tanto, rispettata, una figura carismatica, rarissimo esempio di donna emancipata, cui molte «sorelle» chiedono aiuto per risolvere i guai che hanno dentro casa: gravate da inganni, stupri e sottomissioni, le vittime hanno deciso di alzare la testa.
Sopravvivere, resistere, nuotare negli abissi, tornare a splendere.
Dopo il successo di Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera, Guendalina Middei ci racconta, attraverso i grandi classici, una storia di rinascita.
Un viaggio tra gli autori, le indimenticabili figure femminili e gli antieroi della letteratura antica e moderna.
Ulisse, Lolita, Antigone, Ivàn Karamazov, lady Chatterley, il lupo della steppa non sono semplici personaggi letterari: le loro passioni ci sono familiari, il loro coraggio ci seduce, la loro morte ci commuove.
L’Odissea non è solo la storia di un uomo che ritorna a casa, ma è anche la storia di chi si riappropria del proprio tempo e della propria anima. Hermann Hesse ci ricorda che un conto è intuirsi, un altro è trovarsi. E quante volte dubitiamo delle nostre scelte e temiamo di non farcela, come è successo a Dante?
Leggere e rileggere i classici con Guendalina Middei è un antidoto alla stupidità, al conformismo, alla superficialità. E un modo per ritrovarsi nelle pagine dei libri, perché è questo che cerchiamo: la scoperta di non essere soli.
Chi meglio di maestri senza tempo può capire le inquietudini di un giovane e trasformare il dolore in bellezza? Chi può mostrarci come difenderci dai paladini delle grandi certezze e salvarci dalle insidie del troppo amore?
Non importa se vi siete già appassionati alla lettura dei classici o li avete scoperti da poco; qui troverete le chiavi d’accesso a un mondo segreto. In un dialogo a tu per tu con i grandi autori del passato, fatto di domande, illuminazioni e rapimenti, che fa sorridere e commuovere, l’autrice si confessa e ci racconta quei libri che più di tutti hanno portato scompiglio nella sua vita. Perché tutto ciò che ha il potere di turbarci e sorprenderci finisce per salvarci.
Le tante dimensioni della storia e la memoria ingannatrice, la crisi del luminoso mondo medievale e l’ingresso in una modernità senza limiti, gli intrecci tra Oriente e Occidente, il legame con Firenze e tante altre città del mondo, i maestri e i compagni di strada, la politica tra nuove e vecchie identità, la tensione tra fede e ricerca della verità: muovendosi ai confini della storia, Franco Cardini rimette in questione molte convinzioni diffuse sul passato e sul presente.
588, Triora. Un processo spietato. Una storia di resistenza. UNA STORIA VERA DI CORAGGIO, AMORE E REDENZIONE UNA COMUNITÀ DI DONNE DEDITA ALLA MEDICINA E AL CULTO DELLA NATURA TORMENTATA DA UNA FOLLE CACCIA ALLE STREGHE
Liguria di Ponente, 1588. Quando si presenta davanti al palazzo adibito a prigione nel borgo di Triora, sulle Alpi liguri, Franchetta Borrelli allontana i pensieri, cancella la paura dallo sguardo e si prepara ad affrontare l’inferno. La carestia che ha colpito la regione ha segnato l’inizio di una persecuzione feroce e capillare nei confronti di tutte le donne che da generazioni tramandano la conoscenza delle erbe e vivono in armonia con la natura. Bollate come streghe, le Sorelle, così si chiamano tra di loro, sono state torturate, in alcuni casi uccise. Franchetta ha già sperimentato sulla sua pelle la spietatezza del commissario De Scribani, ma ha deciso di costituirsi per cercare di salvare le sue compagne. De Scribani, però, non ha intenzione di fermarsi. Le Sorelle, legate da un patto di fedeltà, affrontano insieme il terrore degli arresti, dei processi e delle atrocità commesse dai rappresentanti del potere. Si nascondono nel bosco, là dove conoscono ogni ombra e le proprietà di ogni pianta. La lotta delle donne di Triora, sempre più disperata, non si fermerà alle mura del villaggio. Raggiungerà Genova e l’Inquisizione di Roma, costretta a interessarsi di un caso tanto cruento. Franchetta, Antonina, Bianchina, Magdalena, Battistina. Quella delle Sorelle di Triora è una corale storia di lotta contro un potere cieco e bigotto. Antonella Forte, con rigore storico e con una grandissima verve romanzesca, racconta la loro coraggiosa resistenza.
J.R.R. Tolkien ha descritto la Seconda Era della Terra di Mezzo come “un’età oscura, e non molto della sua storia è (o ha bisogno di essere) raccontata”. Per molti anni i lettori hanno dovuto accontentarsi dei pochi scorci che si trovano nelle pagine del Signore degli Anelli e nelle sue appendici, dove si intravedevano la forgiatura degli Anelli del Potere, la costruzione di Barad-dûr e l’ascesa di Sauron. È stato solo quando Christopher Tolkien ha pubblicato Il Silmarillion dopo la morte del padre che si è potuto avere un ritratto più completo, e una visione ancora più approfondita della Seconda Era è stata rivelata in pubblicazioni successive. Ora, rispettando la cronologia della “Conta degli Anni” in appendice al Signore degli Anelli, il curatore Brian Sibley ha riunito in un unico volume una nuova cronaca della Seconda Era, raccontata con le parole di J.R.R. Tolkien radunate dai vari testi finora pubblicati.
Per il New York Times Book Review tra i dieci libri migliori del 2024
Pubblicato in ungherese nel 1950, Crematorio freddo non venne subito tradotto nel resto del mondo a causa del maccartismo, della guerra fredda e dell’antisemitismo. Oggi questa gemma sepolta è apparsa in quindici lingue e prende finalmente il posto che le spetta tra le grandi opere della letteratura sull’Olocausto.
Quando József Debreczeni arrivò ad Auschwitz nel 1944, se gli fosse stato detto di andare a sinistra la sua aspettativa di vita sarebbe stata di quarantacinque minuti. Invece fu mandato a destra: quel che seguì furono dodici orribili mesi di prigionia e lavori forzati per poi finire nel Crematorio freddo, come veniva chiamato l’ospedale del campo di Dörnhau, dove i prigionieri troppo deboli per lavorare venivano lasciati morire. Debreczeni riuscì a sopravvivere e volle mettere su carta le sue esperienze stilando uno dei più duri e potenti atti d’accusa contro il nazismo mai scritti. Questo libro di memorie, reso con la prosa precisa e non sentimentale di un giornalista straordinario, chiede a chi legge di immaginare esseri umani in circostanze impossibili da comprendere.
La mattina del 30 luglio 1900 la città di Prato, centro laniero tra i più importanti d’Italia, si sveglia paralizzata dall’orrore: a Monza è stato ucciso il re Umberto I e l’assassino, l’anarchico Gaetano Bresci, è un pratese. In città, però, non tutti sono pronti a condannare quell’estremo gesto di ribellione. Tra di loro c’è Pisacane Bresci, cugino del regicida, che cresce i suoi figli nella fede degli ideali anarchici. Gracco e Libero, proprio come il padre, hanno i capelli indocili quanto il carattere, e sono determinati a non rassegnarsi di fronte alle ingiustizie e a lottare per un mondo migliore. Al confine con la terra coltivata a mezzadria dai Bresci c’è il podere della Presa, di proprietà di Ademaro Magni che sogna di diventare un industriale. A realizzare quel progetto, dopo la sua morte, è il figlio Donatello, che fonda un lanificio tra i più fiorenti della città e non esita ad avvicinarsi al fascismo. Al contrario, il contadino Dante Gori, estimatore del sommo poeta e fiero di portare il suo nome, respinge per sé e le sue figlie quell’ideologia imposta con l’arroganza e la violenza. Memoria collettiva e memoria individuale si fondono, mentre gli anni drammatici del fascismo, della guerra mondiale e della Resistenza si abbattono sulla laboriosa Prato, sconvolgendo la sua quotidianità scandita dal fragore dei telai sempre in moto e dal fumo delle ciminiere. I destini dei Bresci, dei Magni e dei Gori si trovano improvvisamente intrecciati dall’amore e da un torto avvolto nel silenzio, che ne avvelena i rapporti di generazione in generazione. Il romanzo storico e corale di Gabriele Cecconi attraversa la prima metà del secolo scorso illuminando i momenti chiave della nostra storia recente e lo fa con stile rapido, coinvolgente, cinematografico, dando vita a personaggi memorabili che agiscono mossi dall’amore, dall’ambizione, dalla passione politica e dal desiderio senza tempo per un mondo più giusto.
Le reliquie ci appaiono come una delle più interessanti manifestazioni del Medioevo oscuro e superstizioso. E con ragione! Se togliamo loro la polvere del tempo, scopriremo storie affascinanti e personaggi indimenticabili. Soprattutto, attraverso di loro possiamo stabilire una connessione diretta con uomini e donne del passato e guardare 2000 anni di storia in modo nuovo.
La polvere del mantello di san Martino, il dentino da latte di Gesù Bambino, migliaia e migliaia di frammenti della Vera Croce recuperata da sant’Elena: se scorriamo l’elenco delle innumerevoli reliquie conservate nei nostri santuari e nelle nostre chiese, non possiamo trattenere lo stupore e l’ironia per una ‘tipica’ testimonianza della superstizione e dell’oscurantismo medievale. Ma se quello delle reliquie può apparire un mondo esclusivamente connesso con l’aspetto devozionale, con la fede e con l’esaltazione del sacro, esplorare le storie a loro legate ci conduce in un inedito mondo fatto di viaggi avventurosi, raggiri, contese teologiche, battaglie campali e rapporti di potere secolari. Basta ricordare l’importanza che hanno per Venezia e Bari le reliquie di san Marco e san Nicola, rispettivamente trafugate da Alessandria d’Egitto e da Myra. Sono storie che vedono protagonisti non solo santi e uomini di Chiesa, ma anche sovrani, condottieri, donne straordinarie, nobili e personaggi minori come pirati, ladri, abili millantatori e tanta povera gente in buona fede. Inseguendo queste storie il lettore sarà trasportato dal palazzo imperiale di Costantinopoli a ciò che resta del Calvario presso Gerusalemme, dal cuore dell’Arabia alla brumosa Britannia, dalle abbazie ai palazzi reali, dalle piccole pievi rurali fino alle cattedrali delle più grandi città d’Europa.
Venezia, durante il Medioevo, si popola di animali, riprodotti sia sulle mura di chiese e palazzi sia al loro interno, ma soprattutto nelle calli e nei campi, tessendo così una trama che, se dipanata, racconta miti e storie che svelano l’identità della città e degli uomini che l’abitavano. Queste immagini funzionavano come racconti morali o come strumenti apotropaici, per allontanare gli eventi nefasti. Dal bestiario di S. Ilario, che segna le origini della città, alle furbe volpi, alle temibili sirene, ai terribili draghi, alla favola della volpe e della gru, Venezia medievale rivela una stretta connessione con il mondo animale e la sua rappresentazione moralizzata. Con l’aiuto delle illustrazioni, che tracciano una sorta di mappa simbolica delle creature che popolano Venezia, il volume ripercorre la caleidoscopica storia di una città unica e irripetibile, sospesa tra la dimensione reale e quella fantastica.
Con Quando sei tra i corvi, Veronica Roth costruisce una storia sorprendente e che scorre rapida, attingendo al generoso bacino del folklore slavo. Una storia che fa perno su una domanda fondamentale: è possibile per noi trovare redenzione ed espiazione abbracciando proprio ciò che più temiamo?
Il dolore è la vocazione di Dymitr. La sua famiglia appartiene a un’antica stirpe di cavalieri che sacrificano la propria anima per poter uccidere i mostri che popolano il mondo. Ora è chiamato a un’altra missione, più rischiosa, forse mortale: trovare la leggendaria Baba Jaga. Ma per riuscirci sarà costretto a stringere un’alleanza proprio con una delle creature che ha giurato di cacciare. Il dolore è l’eredità di Ala, una zmora abituata a cibarsi della paura degli umani. Ormai non le resta altro che arrendersi alla maledizione che l’ha colpita anni prima e che, insinuandosi nelle sue giornate, le sta rubando la vita, attimo dopo attimo. Quando Dymitr le offre una cura in cambio del suo aiuto, non ha molta scelta né molto da perdere. Insieme, costretti a una corsa contro il tempo, dovranno affrontare un mondo sotterraneo insidioso. Eppure saranno i segreti di Dymitr – e le sue vere motivazioni – ciò che potrebbe davvero mettere a rischio la loro missione. E la loro vita.
Un ritratto intensissimo del sottoproletariato urbano tedesco negli anni Venti del Novecento e un potente manifesto antibellico, che dimostra come l’oscurità possa assumere – e abbia assunto – molteplici forme. La nuova versione di Giusi Drago si confronta con un testo ancora sorprendentemente attuale, spregiudicato, vivo, colorito, «vernacolare e insieme globale», nel quale Döblin ha plasmato un linguaggio letterario innovativo, nutrito degli echi dei miti classici, delle canzoni popolari e delle storie dell’Antico Testamento e forgiato sui suoni e sul ritmo di una città pulsante, violenta, sospesa sull’orlo del baratro della Storia.
Ex cementista e scaricatore berlinese, Franz Biberkopf è appena uscito di galera, dove ha scontato quattro anni per aver ucciso la sua compagna nella furia di una lite. Fuori lo attende una metropoli in continuo fermento, un cantiere di eterni scavi e masse inquiete, una «città-alveare» – come la definì Ladislao Mittner – sempre più disgregata e implacabile. Franz fatica a trovare il proprio posto e tenta in ogni modo di rifarsi una vita restando onesto. La sua è una lotta titanica, perché ogni persona che incontra sembra volerlo riportare sulla vecchia strada. Considerato da molti il corrispettivo tedesco dell’Ulisse di Joyce, Berlin Alexanderplatz è un testo capitale dell’espressionismo europeo dal quale hanno tratto ispirazione numerosi autori, da Brecht a Fassbinder.
Un libro che scruta l’animo umano con la precisione e la grazia di un pittore, dove ogni parola è un sipario che si alza su verità scomode e bellezze inattese.
Giunto in età matura, un artista inizia a dipingere ritratti al contrario. Una donna, a Parigi, viene assalita per strada da una sconosciuta. Affascinato dallo sguardo innocente della videocamera, uno scrittore decide di diventare regista. Una memorabile galleria di esistenze dall’autrice di “Resoconto”, “Transiti” e “Onori”, la trilogia che ha ridefinito la narrativa contemporanea. Pochi autori in questi anni si sono interrogati con la profondità di Rachel Cusk su cosa significhi creare. La sua opera, romanzesca o autobiografica, è anche una sottile riflessione sul fare arte, sulla devozione al proprio talento, sul come essere scultore, pittore o scrittore si intrecci e si opponga agli altri ambiti dell’esistenza: all’essere donna, madre, oggetto di desiderio. Riflessioni articolate e sempre sorprendenti che tornano in questo libro suadente ed enigmatico in cui gli artisti sono al centro della scena. Corteo affronta e supera le convenzioni dello storytelling raccontando di creazione artistica, relazioni familiari e del modo in cui ciascuno costruisce la propria identità. Rachel Cusk piega il linguaggio ai propri fini per mostrarci il mondo da una prospettiva rivoluzionaria.
Viviamo tempi rivoluzionari. Ovunque si guardi, si riscontrano mutamenti radicali e forse irreversibili. L’assetto internazionale degli ultimi trent’anni si è dissolto e nuovi protagonisti – in particolare la Cina e la Russia – si sono affacciati sulla scena geopolitica minacciandone gli equilibri e la stabilità in nome di un diverso ordine mondiale. All’interno delle nazioni, i populismi sembrano minare il progetto liberale e le fondamenta stesse della democrazia. Sul piano economico, alcuni effetti deleteri della globalizzazione hanno messo in discussione il generale consenso attorno al libero mercato, mentre la rivoluzione digitale, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, sta delineando scenari sconosciuti e inquietanti. Dopo decenni di apertura, cooperazione e integrazione, il risorgere dei nazionalismi e l’antagonismo tra le grandi potenze, nonché il conflitto esistenziale tra paesi democratici e autocrazie, lasciano presagire un futuro denso di incognite. Nonostante l’ampiezza e la simultaneità di queste trasformazioni, la nostra non è certo la prima epoca rivoluzionaria della storia. Altre rivoluzioni, in passato, hanno travolto società e istituzioni, ordinamenti politici e sistemi economici: quella liberale dei Paesi Bassi del XVII secolo, che ha creato la politica così come oggi la conosciamo, la Rivoluzione francese, con i suoi ideali di libertà, uguaglianza e fraternità, ma anche con la sua eredità di sangue, la rivoluzione industriale, che ha plasmato il mondo in cui viviamo. Secondo l’analista politico Fareed Zakaria – per «Foreign Policy» uno dei «dieci pensatori globali» più importanti dell’ultimo decennio – queste rivoluzioni sono rilevanti perché possono aiutarci a capire i cambiamenti in atto. Infatti, se a ogni progresso corrisponde una battuta d’arresto, se a ogni azione segue una reazione, oggi il rischio più grande che possiamo correre è quello di vedere compromessa l’idea di libertà che da almeno quattro secoli rappresenta il cuore dell’Occidente. Affrontare l’era delle rivoluzioni impedendo che le lancette della democrazia tornino indietro è la sfida che ci attende.
Meirionydd, Galles, 1783. Henry Talbot è costretto ad accettare un posto di lavoro come medico in uno sperduto villaggio del Galles, luogo di cui non sa parlare la lingua e dove la gente è ancora legata a un mondo arcaico, governato dalla superstizione. Quando Henry scopre che il suo predecessore è morto in circostanze misteriose, e inizia a notare uno strano simbolo che appare nei luoghi più inconsueti, si mette alla ricerca di risposte. Le sue esplorazioni lo portano a incrociare la strada della signora del maniero, Linette Tresilian, una giovane riservata e indisponente che sembra non sapere nulla dei numerosi libri di magia che affollano gli scaffali della biblioteca di famiglia. Linette, orfana di padre e con una madre che mostra segni di squilibrio mentale, tuttavia, ha una sua teoria su ciò che è realmente accaduto nel villaggio e decide di aiutare Henry. Le indagini legheranno i loro destini in modi che nessuno dei due poteva immaginare, portandoli a scoprire segreti oscuri e terribili.
Nel XVI secolo, il più splendido ma anche il più tormentato per la Repubblica di Venezia, appare sulla scena un personaggio degno di un romanzo d’avventure. È Alvise, il ricchissimo e ambizioso figlio naturale del doge Andrea
Gritti. Giocando una pericolosa partita tra la Serenissima, l’impero ottomano e quello asburgico, conquista la fiducia del Gran Visir e del Sultano Solimano il Magnifico, fino a diventare il numero tre alla corte turca di Costantinopoli. In questa delicata posizione gioca il ruolo di agente del Consiglio dei Dieci nell’alleanza segreta tra Venezia e la Sublime Porta contro Carlo V, fino a giungere a un passo dal trono d’Ungheria, concludendo però la sua scalata barbaramente trucidato. Personaggio fondamentale nello scenario politico della prima metà del Cinquecento, Alvise Gritti fu amato da pochi, temuto da molti, odiato dall’impero asburgico, quasi dimenticato al giorno d’oggi. Questo libro fa riemergere tra luci e ombre la sua appassionante quanto breve vita e gli intrighi orditi dalle potenze rinascimentali: una narrazione avvincente e accuratamente documentata.
La vita e il lavoro di pensatori, artisti, scrittori e scienziati è percorsa da vicende insieme umane e straordinarie che hanno cambiato per sempre il nostro modo di pensare, interpretare e prendersi cura della realtà che ci circonda e di quella che intrinsecamente ci appartiene. Ostinatamente curiose, capaci di guardare al di là delle consuetudini o dotate di una sensibilità unica, queste figure hanno saputo dare nuova forma e sostanza all’uomo e al suo mondo inventando parole e forme inedite, rimedi e terapie per sanare la malattia del corpo e dell’anima, o ancora per fermare lo spirito del tempo immortalandolo in opere oggi di valore inestimabile, capolavori dell’arte e della letteratura, fondamenti della medicina e del pensiero filosofico. La collana racconta la vita, le scoperte e le creazioni dei più geniali artisti del Rinascimento italiano, dei padri della filosofia, della psicologia, della medicina, dei più tormentati pittori della storia moderna e non ultimo del sommo poeta italiano, Dante Alighieri, per capire che il loro celebrato ingegno non è materia che richiede una speciale preparazione, ma fondamento vivo e potente che appartiene e percorre tutti gli uomini.
Nell’estate del 1959 il ventitreenne Mario Vargas Llosa arrivò a Parigi con poco denaro in tasca e la promessa di una borsa di studio. La prima cosa che fece fu di entrare in una libreria del Quartiere latino e comprare una copia di “Madame Bovary” nelle edizioni dei Classiques Garnier. Cominciò a leggerla nella stanzetta di un albergo non lontano dal museo Cluny: «Erano anni che nessun romanzo vampirizzava così rapidamente la mia attenzione» racconterà in seguito. È allora che comprese «quale scrittore mi sarebbe piaciuto essere» e che «da quel momento e sino alla morte avrei vissuto innamorato di Emma Bovary». “L’orgia perpetua” è l’omaggio di un grande scrittore al maestro di tutti i grandi scrittori della modernità, un omaggio che è insieme una rilettura tanto partecipe e affettuosa quanto lucida e attenta, non un saggio critico, di critica letteraria in senso stretto, bensì l’opera di chi della lettura si alimenta e vive e nella scrittura alimenta e fa rivivere. Il titolo rimanda a una frase dello stesso Flaubert: «Il solo modo di sopportare l’esistenza è stordirsi nella letteratura come in un’orgia perpetua» e proprio questo concetto Vargas Llosa riprende, espande e fa suo nel raccontare il potere magico che hanno certi romanzi, il piacere e insieme lo smarrimento che ci fanno provare, l’antidoto necessario al male di vivere che è sempre in agguato. Edizione numerata da 1 a 1000.
Il Maniero è una tenuta extralusso immersa in un’antica foresta del Dorset riguardo alla quale sopravvive un’antica leggenda: pare sia abitata dagli Uccelli, creature vendicatrici della tradizione pagana chiamate a rimediare ai torti causati da chi elude la giustizia. È stata progettata per offrire una fuga pacifica a ospiti privilegiati e la sua proprietaria, Francesca Meadows, ha deciso di organizzare una memorabile festa del solstizio d’estate con l’aiuto di suo marito, più giovane, l’aspirante architetto Owen. Tutto procede come previsto, anche se Francesca si sente minacciata da Bella, un’ospite misteriosa che è decisa ad affrontare i segreti del suo passato. Ma all’improvviso un evento straordinario sconvolge i loro piani: un incendio devastante travolge il Maniero, gli ospiti sono terrorizzati e viene rinvenuto un corpo senza vita. Il giorno successivo al solstizio, indagando sulla tragedia accaduta al Maniero, l’ispettore Walker comincia a porsi una serie di domande: cos’è successo durante il solstizio? Chi è morto? Chi è il responsabile? Come si è sviluppato l’incendio? I lettori hanno il compito di raccogliere i pezzi del puzzle per risolvere il mistero; ma nulla è come sembra e l’astuta narrazione di Lucy Foley vi terrà con il fiato sospeso.
Nella Norvegia medievale, il matrimonio tra Erlend e Kristin è minacciato da vicissitudini economiche e politiche. Quando la coppia, assieme ai numerosi figli, si trasferisce a Jørundgård, nella tenuta paterna della donna, la tensione tra Erlend e il cognato Simon, un tempo innamorato di Kristin e ora compagno di sua sorella, sfocia in una lite di famiglia che causa la separazione tra la protagonista e il marito. L’amore è forte, ma i caratteri restano incompatibili e così, tra discussioni e tentativi di riavvicinamento, ingiurie e chiarimenti, la vita trascorre su un uomo e una donna che si sentono sempre più distanti dalla gioventù. A mano a mano che attorno a lei le persone più care vengono a mancare, Kristin si isola dal mondo, rasserenata dalla fede. Ormai anziana e stanca, decide di chiudersi in convento. Quando la peste inizia a mietere vittime, si adopera per aiutare gli ammalati, nella speranza di ottenere il perdono per una vita piena di errori e peccati. A cent’anni dall’uscita in Norvegia e a pochi mesi dalla ripubblicazione dei primi due capitoli in Italia, torna in una nuova traduzione il terzo volume della trilogia che valse a Sigrid Undset il premio Nobel, uno dei capolavori della letteratura mondiale.
Dal Mare del Nord alla Normandia, dall’Inghilterra alla Scozia e all’Irlanda, dal sud Italia alla Sicilia, riconquistata dai normanni dopo aver sconfitto i saraceni e trasformata in un regno, dalla Reconquista spagnola alle crociate. Questa sintesi brillante racconta la storia degli avventurosi e combattivi «uomini del Nord», delle loro incursioni, conquiste e del loro lascito. Non si tratta solo di eventi politici e delle loro conseguenze, ma anche dei processi di acculturazione e integrazione che questi migranti-conquistatori attuarono di volta in volta, rivelando una capacità di adattamento che gli storici identificano come la principale ragione del loro successo.
Dopo i dialoghi serrati di Bianco e Nero in Sunset Limited e la resilienza testarda del padre in La strada; dopo le struggenti peregrinazioni di Bobby Western nel Passeggero, è tempo che anche Ben Telfair si unisca alla schiera degli eroi mccarthiani che portano il fuoco e che Il tagliapietre vada a occupare il posto che gli compete.
Sipario. In scena quattro generazioni della famiglia Telfair, scalpellini neri di Louisville, Kentucky. Il protagonista, Ben, ha imparato dal nonno Papaw che «un muro è fatto allo stesso modo in cui è fatto il mondo. Una casa, un tempio». Così, ora che la vocazione del taglio della pietra in famiglia si va esaurendo, Ben dovrà fare come la casa e il tempio, e come quelli resistere e restare. L’ultima opera ancora inedita dell’autore di “Il passeggero” e “La strada”, l’unica nata in forma teatrale, vede la stampa dopo quasi quarant’anni dalla sua stesura, e incastona la tessera finale in un mosaico immaginifico che non cessa di stupirci. Scritto alla fine degli anni Ottanta, poco dopo “Meridiano di sangue”, pubblicato nel 1994, contemporaneamente alla “Trilogia della frontiera”, il dramma in cinque atti “Il tagliapietre” non ha avuto la stessa fortuna dei capolavori suoi coevi e non ha mai visto una rappresentazione scenica se non parziale. Perché? Ben Telfair, protagonista dell’opera nonché suo deus ex machina, chiamato a riflessioni dall’alto peso specifico, è uno scalpellino nero poco più che trentenne che ha abbandonato gli studi in psicologia per dedicarsi alla lavorazione della pietra come suo nonno, l’ultracentenario Papaw. A legare i due uomini non c’è solo l’arte della costruzione muraria – «il mestiere» come Papaw ama definirlo, quasi non ve ne fossero altri. Ciò che Ben ha scelto di abbracciare è un intero sistema di valori, improntato a rettitudine e onestà. Il resto della famiglia ha scelto diversamente: la moglie di Ben, Maven, ambisce alla professione di avvocato; suo padre, Big Ben, alla pietra ha preferito il cemento e le ricchezze che è in grado di produrre, mentre suo nipote, Soldier, ha fatalmente ripudiato un materiale come l’altro. Ben ha radici solide e crede di poter aggiustare tutto. Ma non può. Per quale ragione, dunque, questo quintessenziale paladino mccarthiano non ha mai trovato posto su un palcoscenico? Troppo ricco il linguaggio, è stato detto, dilatato fra il dialetto del Sud e la solenne prosa biblica, troppo metafisico il sottotesto, troppo ardito l’alternarsi dei due Ben sulla scena. Forse, invece, “Il tagliapietre” ha solo scontato un gap temporale. Ora, dopo i dialoghi serrati di Bianco e Nero in “Sunset Limited” e la resilienza testarda del padre in “La strada”; dopo le struggenti peregrinazioni di Bobby Western nel “Passeggero”, è tempo che anche Ben Telfair si unisca alla schiera degli eroi mccarthiani che portano il fuoco e che “Il tagliapietre” vada a occupare il posto che gli compete.
L’anniversario è prima di tutto un romanzo di liberazione, che scardina e smaschera il totalitarismo della famiglia. Ci ferisce con la sua onestà, ci disarma con il suo candore, ci mette a nudo con la sua verità. È lo schiaffo ricevuto appena nati: grazie a quel dolore respiriamo. Dieci anni fa, quel giorno, ho visto i miei genitori per l’ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.
«Ci si può liberare dai propri genitori? Dal male che ci hanno fatto? Senza ritorno e senza appello? È una domanda scandalosa. Andrea Bajani la affronta da scrittore, in un libro scandalosamente calmo.» – Emmanuel Carrère
Si possono abbandonare il proprio padre e la propria madre? Si può sbattere la porta, scendere le scale e decidere che non li si vedrà più? Mettere in discussione l’origine, sfuggire alla sua stretta? Dopo dieci anni sottratti al logoramento di una violenza sottile e pervasiva tra le mura di casa, finalmente un figlio può voltarsi e narrare la sua disgraziata famiglia e il tabù di questa censura “con la forza brutale del romanzo”. E celebrare così un lacerante anniversario: senza accusare e senza salvare, con una voce “scandalosamente calma”, come scrive Emmanuel Carrère a rimarcarne la potenza implacabile. Il racconto che ne deriva è il ritratto struggente e lucidissimo di una donna a perdere, che ha rinunciato a tutto pur di essere qualcosa agli occhi del marito, mentre lui tiene lei e i figli dentro un regime in cui possesso e richiesta d’amore sono i lacci di un unico nodo. L’isolamento stagno a cui li costringe viene infranto a tratti dagli squilli di un apparecchio telefonico mal tollerato, da qualche sporadico compagno di scuola, da un’amica della madre che viene presto bandita. In questo microcosmo concentrazionario, a poco a poco si innesta nel figlio, e nei lettori, un desiderio insopprimibile di rinascita – essere sé stessi, vivere la propria vita, aprirsi agli altri senza il terrore delle ritorsioni. Con la certezza che, per mettersi in salvo, da lì niente può essere salvato.
Isabelle Schuler reimmagina la figura della regina scozzese realmente esistita e che ha ispirato uno dei personaggi più famosi di Shakespeare. Una donna odiata da sempre, ma che adesso ci racconta in prima persona una storia che non conosciamo, un’epopea storica di grande impatto, tra ambizione femminile, potere, desiderio, odio e vendetta.
Figlia di un re spodestato. Discendente di potenti druidi. Destinata a prendere il suo posto nella storia. Scozia, intorno all’anno Mille. Durante la celebrazione di Imbolc, le donne cantano invocando la dea Brighde, mentre il vento ne trasporta le voci che riecheggiano sull’acqua scura. Gruoch osserva le loro danze sfrenate rabbrividendo, ma lei è troppo giovane per prendere parte al rito. È proprio in quel momento che la nonna le svela la profezia che cambierà la sua intera esistenza. Un giorno diventerà regina di Alba e potrà reclamare le terre dei suoi antenati. Come sua nonna e sua madre, Gruoch appartiene a una lunga stirpe di druidi, ma i tempi non sono più quelli in cui i Pitti regnavano sulle terre scozzesi, ora re guidati dalla nuova religione hanno preso il potere, spodestando la sua famiglia. Cresciuta consapevole del posto delle donne nel mondo, la giovane non è però disposta a essere solo moglie di re, lei tesserà le trame della storia e suggellerà il suo destino. Una volta raggiunta la corte reale di Scone come promessa sposa dell’erede eletto Duncan, proprio quando è prossima all’avverarsi della profezia, Gruoch è costretta a fuggire. La speranza di diventare regina sembra ormai persa. Trovandosi alla mercé di un potente nemico, deve sopravvivere ed è disposta a tutto. Abile manipolatrice e più che mai determinata a ottenere il potere che le spetta, è pronta a difendere il suo futuro con ogni mezzo. È così che diventa Lady Macbeth.
Palermo, autunno 1847. In città l’aria è incandescente: il popolo sta tramando contro i Borboni, e la rivolta è ormai incombente. La marchesina Isabella di Cabrera arriva da Messina carica di speranze e aspettative. Nonostante alla sua famiglia interessi solo che combini un buon matrimonio, lei freme per entrare nei salotti bene e convincere gli intellettuali che l’insurrezione deve servire anche a difendere i diritti delle donne. George Seymour ha lasciato Londra per amministrare le proprietà di famiglia in Sicilia, e adesso è inebriato dalla vitalità, dai profumi, dalla magia di quella terra. Stringe una profonda amicizia con i fratelli Alberto e Leonardo de Martini, che lo introducono alla nobiltà cittadina e agli ideali dei ribelli. George sposa la causa e si lascia travolgere dalla passione per la locandiera Cettina, verace e ardente. Quando però conosce Isabella, amata anche da Alberto, capisce che quella ragazza colta, intelligente e indocile cambierà per sempre il suo destino. Mentre i due si dibattono fra i rimorsi verso Alberto e la nascita di un sentimento ormai impossibile da reprimere, esplodono i moti, travolgendo i destini di tutti i protagonisti nell’inesorabile avanzare della Storia. Un’impetuosa storia d’amore e libertà nel cuore della rivoluzione siciliana del 1848. Una Palermo magnifica, viva e palpitante.
Pirro è un bellicoso monarca greco che confidando nelle sue eccezionali doti militari concepisce progetti rischiosi, ma non privi di prospettive realizzabili: la creazione di un dominio personale e dinastico in Sicilia, il protettorato sulla Magna Grecia, la conquista del regno macedone, l’egemonia sulla Grecia. Nella sua storia sogno e miraggio del potere, visione e illusione di regalità si coniugano con la dimensione del possibile, e quando fallisce in Sicilia e in Grecia, fallisce per poco.
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