Proprio ieri riflettevo sul fatto che nella mia carriera di lettrice accanita ho spesso privilegiato romanzi storici ambientati molto indietro nel passato; il motivo probabilmente sta nel fatto che immedesimarmi in un epoca molto distante dalla quotidianità l’ho sempre trovato affascinante e di grande interesse. Con Café Ida ho cambiato periodo storico e tematiche e sono contenta di aver conosciuto meglio un Novecento diverso rispetto a quello a cui sono abituata. Gli argomenti che più emergono dalla storia sono certamente il sentimento di amicizia, che coinvolge i due protagonisti; la voglia di riscattarsi da una vita difficile in Ciociaria, in una Italia che sta attraversando un passaggio importante dalle dinamiche complesse; il tema dell’emigrazione, questa volta come destinazione la Scozia, alle problematiche legate a delle promesse non mantenute e all’illusione di liberarsi dal fardello della povertà. Giovanni e Nevio sono molto giovani quando approdano sulle coste scozzesi, le loro famiglie sono di estrazione diversa eppure si ritrovano in una condizione simile, ciò che era stata descritta loro come una meta vantaggiosa e ricca di opportunità non si è dimostrata tale. Inoltre, una serie di vicissitudini separano le loro strade… Si rincontreranno? Riusciranno a conquistare la libertà tanto agognata? Riusciranno a far avverare i loro sogni?
Questo romanzo intenso e struggente ci conduce in un percorso impervio fino a Glasgow, indaffarata metropoli alle prese con i nuovi arrivi, in cui sono ben delineati i ghetti dove gli italiani devono vivere e dove l’inclusione e il rispetto sono difficili da conquistare, una circostanza che i nostri protagonisti capiranno ben presto!
“Libri. Il baule traboccava di letteratura, geografia, filosofia, storia, romanzi russi, francesi, italiani, poesia, fiabe e scienza. Giovanni aveva creduto che dentro fossero inutili cianfrusaglie, e invece c’era la conoscenza che il nonno non avrebbe potuto tramettergli. E dove non arrivavano i libri c’erano fogli fitti di grafia puntata come la sua voce. Ci avrebbe infilato pure la quercia, se ci fosse entrata, perché lo sapeva eccome che era là sopra che ne andava a leggere.
Era riuscito a spedirgli una lettera, giusto poche righe per rassicurarlo. Stiamo bene e tutto va magnificamente gli aveva scritto, diventando rosso come se il nonno fosse lì a spiarlo. L’aveva chiusa lì, senza avventurarsi nei dettagli. Aveva indicato il mittente a caratteri grandi e in stampatello dietro la busta, e per sicurezza pure sotto i saluti. Come indirizzo aveva segnato quello del barbiere, che Mario al richiamo della famiglia e dell’Italia gli aveva farfugliato un sì umido di malinconia.”
Mi sono ispirata a un fatto vero legato a un fenomeno migratorio quasi sconosciuto che si è verificato tra la fine dell’800 e primi del ‘900, e riferito a dei giovani spaccapietre partiti da un paesino della Ciociaria per vendere gelati in Scozia. Nessuna informazione su chi fossero né su cosa avessero realizzato. Disponevo solo dei luoghi e di due strumenti musicali che effettivamente accesero un amore. Ho impostato la trama immaginando tre fratelli e un altro nucleo familiare in un filone parallelo. Questo mi ha permesso di raccontare esperienze diverse e di sviluppare maggiormente i temi che caratterizzano ogni esistenza, e cioè l’amore, l’amicizia, la solitudine, il tradimento, il fallimento e la realizzazione, per citarne alcuni. La scelta dei due protagonisti è stata necessaria ai fini della struttura che volevo dare al romanzo, ma mi ha anche reso più partecipe delle loro vite e di quelle dei personaggi di cui si circondano. Magari questo aspetto ha contribuito a renderli vividi come dici tu, chissà.
È vero, è un tema di grande attualità, e il ricordo delle esperienze degli italiani forse ormai è cristallizzato nei libri e nei film. La mia intenzione non era quella di focalizzare la storia sull’immigrazione, ma di considerarla una condizione che pone le persone di fronte a delle scelte, eventualmente anche quella di non scegliere. Ma poi in effetti è stata un’opportunità per rispolverare la memoria di un passato sul quale si fondano le nostre radici, un passato che trapela da certi album di famiglia e che molti nonni riescono ancora a tramandare. Che si tratti di Scozia, di America o di Australia, credo che parlarne costituisca un giusto riconoscimento a chi si è sacrificato per migliorare non solo la propria vita ma quella dei suoi cari e della comunità di provenienza. Un contributo che è misurabile, sul piano economico, attraverso le ingenti rimesse trasferite ai familiari rimasti in Italia.
Non ho trovato molto materiale, e inoltre, avendo scritto diverse parti durante il lockdown, non sono potuta andare a cercare persone del luogo da intervistare. In generale ho letto molto, di tutto, anche minuscole notizie colte qua e là. Ogni dettaglio forniva un indizio, un tassello da combinare insieme agli altri. E più leggevo più scoprivo che questo flusso verso la Scozia era assai più esteso di quel che pensavo. Me lo confermano le persone che adesso raccontano del bisnonno, del prozio o del cugino di millesimo grado partiti allora per la lontana Scozia per lavorare nel business del gelato e della ristorazione.
Il romanzo è un’opera di fantasia e quindi lascia la libertà di spaziare. Tuttavia, se si vuole collocare la storia in una determinata epoca o almeno contestualizzarla in alcuni passaggi cardine, è ovviamente necessario approfondire e verificare i fatti. Ma soprattutto suggerirei di non dare nulla per scontato. Porto un esempio personale. La Ciociaria per me è Ciociaria da sempre, non ho mai dubitato che lo fosse (e sono in buona compagnia). E invece in un passato nemmeno troppo lontano questo nome non esisteva. Il territorio apparteneva infatti a una grande Provincia chiamata Terra di Lavoro, che fu smembrata nel 1927. Ecco, pur vivendo a Roma, e quindi abbastanza vicino, non ne sono mai venuta a conoscenza, e sarebbe stato inopportuno non specificarlo in una nota iniziale. Lo dovevo a quella parte di popolazione, sempre più ridotta col passare del tempo, che stenta ancora ad accettare l’annessione forzata.
Bella domanda… (sto sorridendo). Ho sempre tante idee in testa, vorrei scrivere di tutto, anche cose diversissime, divertenti o drammatiche, ma funzionali a trasmettere un messaggio, a infondere consapevolezza su alcuni temi. Però ammetto che ora mi intriga parecchio scoprire cosa accadrà alle nuove generazioni dei Montefosco e dei Datti di Lanza, e pure svelare quei non detti che aleggiano lungo la storia. Di sicuro non vedo l’ora di ritrovarmi insieme al mio pc nel silenzio dell’alba per immergermi in una nuova avventura.
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2 Comments
Come giovane scrittore in auge (ho 79 anni), ho trovato molto interessanti le sue recensioni. La terza persona, il lettore, è sempre presente nello scrivere, allarga il panorama oltre la pagina corrente. Grazie.
Grazie mille per questo commento! Sono molto contenta che le mie recensioni lascino qualcosa a chi le legge! Per me è molto importante avere questi riscontri!