Il romanzo storico di Carla Maria Russo racconta una storia drammatica, patrimonio della cultura italiana ed europea.
Il 29 ottobre 1184, Costanza D’Altavilla, ultima discendente legittima dei regnanti normanni, sposa a Milano Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa; scopo del matrimonio è di unire le due importanti casate per rinforzare il Sacro romano Impero e aspirare a un erede che ne governi il potere negli anni a seguire. La donna fu indotta a sposare Enrico VI, per dovere verso la propria famiglia e verso il suo popolo, nonostante la differenza d’età e una intera vita passata con gli abiti monacali.
Carla Maria Russo ci descrive una regina inizialmente impaurita, per nulla preparata alla vita di corte, men che meno a compiere le mansioni di regina e moglie devota. Enrico VI fu un uomo crudele, spietato, vendicativo, incapace di accettare Costanza come consorte per via del suo sangue nordico ma soprattutto per quella resilienza silente e per la nobiltà d’animo che dimostrò ogni volta che le fece subire una delle sue angherie. La sposa normanna riporta in forma romanzata le vicende che portarono la regina dalla Sicilia fino in Germania, il tragico periodo prima della nascita del suo unico figlio e ciò che avvenne dopo la sua morte, con la difficile ascesa di Stupor Mundi Federico II di Svevia.
Quando Costanza D’Altavilla, ultima rappresentate femminile dei normanni di Palermo, sposò Enrico VI, le voci sulla sua tardiva età si sparsero in tutta Europa e produssero non poco sconcerto. A quell’epoca, avere trentun anni si era già considerate vecchie per concepire un figlio, i medici e la corte erano tutti convinti che non avrebbe mai portato a termine il compito che le era stato affidato e il contratto matrimoniale architettato dalle famiglie reali sarebbe stato vano.
Anche il marito dubitò fortemente che Costanza fosse incinta quando gli fu recapitata la notizia mentre era impegnato in una campagna militare in Sicilia, non solo perché erano passati molti anni dallo sposalizio ma anche perché era un uomo sospettoso, convinto fin dall’inizio che sua moglie fosse una spregevole bugiarda e che avesse escogitato quell’inganno al solo scopo di salvaguardare la sua precaria vita da regina senza prole. Invece, aspettava davvero un bambino, in quanto fedele devota, Dio le aveva concesso all’età di quarant’anni l’opportunità di donare amore, quell’amore che non aveva mai ricevuto dal marito e riporre tutto nel figlio tanto agognato durante la reclusione alla corte di Svevia.
Enrico VI non volle sentire ragioni, per avere prova certa della gravidanza costrinse Costanza D’Altavilla a raggiungerlo in Italia per costatare la sua buona fede e, contro i consigli dei medici di corte, lei intraprese quel lungo viaggio allo stremo delle forze e in procinto di partorire. Disobbedire avrebbe confermato la sua malafede e il timore di essere uccisa con suo figlio in grembo le fece decidere di eseguire l’ordine del suo folle e irascibile marito; il percorso fu accidentato e pieno di insidie, il suo seguito composto da medici, cavalieri e dame fu d’aiuto ma il rischio che lei partorisse in mezzo alla campagna prima di raggiungere il re era altissimo, a quel punto non avrebbe più potuto provare che avesse partorito davvero e la sua vita e quella dell’erede sarebbero state ancora di più in pericolo.
Quello che ci riporta Carla Maria Russo e le cronache è a dir poco sorprendete: giunta nelle Marche e capito che il parto era imminente, Costanza D’Altavilla impose di allestire la grande tenda reale nella piazza centrale di Jesi in modo che il popolo diventasse testimone dell’evento. Fece chiamare tutte le balie e le donne esperte di cura della cittadina per assisterla durante la nascita e, allo stesso tempo, confermare che il bambino fosse uscito dal suo grembo, il piano funzionò e lei dette alla luce un maschio sano circondata da una miriade di persone pronte ad aiutarla.
La morte di Enrico VI , poco dopo essere giunta in Sicilia, fece sì che potesse incoronare il figlio come re a soli tre anni, ma lei non poté assistere all’ascesa del figlio perché morì poco dopo di malattia e non poté proteggerlo da ciò che avvenne dopo, Federico crebbe in circostanze difficili ma questo lo formarono e lo fecero poi diventare il grande regnante che tutti noi conosciamo.
La prosa di Carla Maria Russo è malinconica e struggente, i fatti vengono raccontati con grande pathos ed è difficile non affezionarsi alla caparbietà di questa donna all’apparenza debole ma con una grande forza d’animo. L’autrice ci dipinge un ritratto dell’epoca trasfigurato dalle lotte di potere e dagli intrighi degli uomini per accaparrarsi le terre, in cui le donne furono inevitabilmente coinvolte spesso a loro discapito.
Ho immaginato tante volte durante la lettura di ritrovarmi in quei palazzi, reclusa anch’io in quelle stanze ampie ma che erano sostanzialmente delle prigioni e sussurrare a Costanza di resistere.
Cosa avrei fatto io nei suoi panni? Possiamo forse non considerarla una guerriera nonostante non abbia mai impugnato una spada?
Ci sono molti modi per combattere le proprie battaglie e Carla Maria Russo ci ha mostrato un lato del XII secolo che ancora molti si ostinano a non vedere: quello delle donne di valore.
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