“La storia del cristianesimo delle origini (Urchristentum) è anche storia di donne, come testimoniato sia nei testi canonici che in quelli apocrifi. La qualità della loro presenza nelle prime chiese cristiane non è stata secondaria. La loro partecipazione e il loro peso agli eventi del primo cristianesimo e ai movimenti di quanti professavano la fede in Cristo non sono stati marginali e hanno lasciato delle indubbie tracce, anche se poi, nella successiva storia del movimento cristiano, lo spazio per le donne non è stato mai ampio, anzi è andato riducendosi sempre più. C’è stata certamente anche una produzione scritta da parte delle prime donne cristiane, ma di esse quel che sappiamo lo dobbiamo solo agli scritti degli uomini che hanno soppiantato e cancellato quelli femminili.”
Così esordisce il Professor Vincenzo Villella, giornalista, storico, socio della Deputazione di Storia Patria Calabria, nella interessante Prefazione al testo di Francesco Esposito, docente di Filosofia, Storia e Letteratura italiana, edito da Uno Editori. Ed è proprio in questo breve brano che ritroviamo molte delle questioni che più affliggono la storia antica, una fra tutte quella parte dimenticata, osteggiata, occultata del ruolo sociale delle donne prima della consacrazione di un unico cristianesimo: istituzionalizzato, imperante e fortemente politicizzato.
Attraverso le testimonianze di alcuni dei Padri della Chiesa più ortodossi e apologeti coevi al periodo storico preso in esame, l’autore ci introduce nella società greco-romana dei primi secoli dopo Cristo, in cui si professavano diversi culti e diversi cristianesimi e la donna non era ancora stata relegata ai margini della società.
Con la stessa avvincente capacità, Francesco Esposito descrive la trasfigurazione della figura femminile, da parte attiva della comunità a eterna peccatrice, mettendo in risalto il confronto tra cristianesimo antico e cristianesimo latino e dedicando parte del testo alla funzione del matrimonio, anch’esso coinvolto nel cambiamento culturale, e al velo nelle donne, ancora oggi oggetto di controversie.
L’autore si è reso disponibile per una intervista di approfondimento, ascoltiamo le sue parole.
Prima di tutto dobbiamo fare le dovute distinzioni: di tempo e di luogo; partendo anche da un presupposto certamente non di poco conto: dalla seconda metà del I secolo fino al quarto secolo non esisteva un solo cristianesimo, ma una galassia di cristianesimi differenti tutti nel solco di una loro ortodossia.
Detto questo, torniamo al tempo e al luogo in riferimento alla domanda. Se parliamo di tempo, nel libro specifico come nella comunità cristiana delle origini (ai tempi in cui Paolo scriveva, tra il 50 e il 60 d.C.), è effettivamente presente un ruolo molto attivo della donna come diaconessa o addirittura profetessa. In alcuni casi pare ricoprisse un vero e proprio ruolo di insegnante delle verità divine, tant’è che Paolo (sì, lo stesso Paolo che in 1Cor 14, 34 ordina alle donne di tacere nell’assemblea e di rimanere sottomesse) entra addirittura in polemica con quella che pare essere una vera e propria comunità femminile delle origini, in cui le donne rivendicavano un primato delle rivelazioni divine (1Cor 14, 36).
Se poi parliamo di luogo, allora le cose cambiano e anche qui bisogna fare una netta distinzione fra: cristianesimo latino di stampo occidentale, e cristianesimo greco di stampo orientale. Una distinzione già presente dalla seconda metà del II secolo, ma che avrà ripercussioni sempre più pesanti con il passare dei secoli. Ed è una cosa che descrivo perfettissimamente nel libro: nel momento in cui gli insegnamenti di Paolo vennero accettati tout court a partire dal II secolo dalle comunità cristiane di occidente, quei movimenti cristiani orientali che furono poi successivamente bollati come eterodossi (nel libro prendo in esame il Cristianesimo Montanista) trovarono in decise figure femminili non solo delle forti fondatrici, ma anche ministre, sacerdotesse e profetesse dal forte carisma.
In definitiva, tale cambiamento di fronte è avvenuto nel momento in cui le lettere di Paolo, a seguito della disfatta degli ebrei dopo le guerre giudaiche tra il 70 e il 135 con la vittoria di Roma, ha portato a rivalutare una nuova figura di Gesù e una rivalutazione delle epistole paoline. Di conseguenza anche il ruolo attivo della donna venne ridimensionato a seguito di una lettura esegetica paolina ed ebraica (fondata su Genesi e la letteratura enochica) in cui era giustificato il ruolo di sottomissione della stessa a favore di un ancora più marcato pensiero maschilista e patriarcale. E tale posizione trovò forte aderenza in quel cristianesimo latino di stampo occidentale (che analizzo con il suo primo esponente: Tertulliano) che, passo dopo passo, divenne il cristianesimo che noi conosciamo e che appartiene alla nostra tradizione culturale.
Qui la questione è un po’ complessa, in quanto dimostro come le posizioni intransigenti sulle donne da parte degli autori cristiani occidentali derivino, come già detto, non solo da una loro personalissima lettura esegetica del libro della Genesi, non solo dalla letteratura enochica (gli angeli ribelli che vengono sedotti dalle donne), ma anche da un pensiero ebraico fortemente antifemminista. In questo caso, volessimo parlare di gesuanesimo (i primi veri seguaci di Gesù, che si distinguono dai paolinisti, i primi veri cristiani della storia), consci del fatto che Gesù ed i suoi non si sono mai voluti distaccare dal solco ebraico che ha dato loro i natali e li ha formati, il loro pensiero sulle donne era perfettamente aderente al giudaismo del tempo o erano più “rivoluzionari”?
Nel libro, citando l’egregio lavoro fatto dal Prof. Pierangelo Gramaglia, metto in campo tutti quei passi evangelici in cui Gesù chiarissimamente ha un rapporto molto aperto con le donne tanto da arrivare ad insegnare loro. Ma pongo anche una domanda: questa apertura era figlia del “Gesù di carta” (quello redazionale, invenzione degli evangelisti), oppure era aderente alla sua possibile figura storica? In alcuni passi leggiamo come Gesù si rivolga a sua madre con toni molto aspri e impersonali (es. durante le nozze di Cana); o come accetti il ruolo sottomesso della prostituta (riconosciuta come la Maddalena) mentre le bacia i piedi bagnati dalle sue stesse lacrime utilizzando i capelli per asciugarli (una scena molto erotica e certamente scandalosa come scritto dall’autrice e docente Francesca Stavrakopoulou nel suo ultimo libro “Anatomia di Dio”).
Insomma, visioni discordanti di un Gesù e un gesuanesimo delle origini che da una parte sembra accomodante con le donne; altre volte sembra accettare i costumi della propria cultura. Quale dei due?
Quel che è certo è che tra il tardo II secolo e metà del III secolo, epoca in cui Tertulliano sarà attivo con i suoi scritti sulle donne, l’immagine del gesuanesimo è quasi totalmente sbiadita da non poter fare una discriminante reale con le varie scuole cristiane oramai operanti.
Anche in questo caso dipende dal tempo e dal luogo. Abbiamo certamente autori più “accomodanti” come Giustino e Taziano che scrivono nel II secolo, la cui formazione greca (di stampo molto più filosofico, e che quindi volevano fare del cristianesimo la migliore delle filosofie) li portava a considerare altri problemi di sorta: in questo caso la legittimità del movimento cristiano e del “Gesù divino” che volevano presentare al mondo. Un autore come Giustino si preoccupa anche della questione del matrimonio e del ruolo della donna nello stesso nelle sue Apologie, mostrando come anche il divorzio, qualora la situazione diventi insostenibile per la donna, possa essere contemplato seguendo addirittura il diritto romano e non regole interne al cristianesimo.
Poi abbiamo invece autori come Tertulliano, di formazione latina (conosceva certamente gli autori greci, ma la sua formazione non si limitò alla semplice paideia greca), con una forma mentis certamente differente dai suoi predecessori. Scrivendo nella prima metà del III secolo in una della più floride province romane del tempo (Cartagine, nell’Africa settentrionale), ha una sua personalissima idea di cristianesimo fondato sulla purezza e l’allontanamento da ogni idolatria.
E qui sì che le donne giocano un ruolo di pura sottomissione e discriminazione nella sua personalissima visione di una società cristiana distinta da quella romana. Ritornano così le letture esegetiche descritte poco prima: Genesi (le colpe di Eva come prima seduttrice che colpiscono tutte le generazioni successive delle donne); la letteratura enochica (la bellezza femminile, la vanità attraverso artifici di bellezza come trucco e vestiario, così come la stessa sessualità della donna sono tanto potenti da poter sedurre anche gli angeli e farli cadere nell’errore; ergo tali caratteristiche femminili sono da condannare); fino a giungere a tutta quella letteratura ebraica in cui è giustificato il ruolo sottomesso della donna rispetto all’uomo, trovando addirittura nel concepimento motivi “scientifici” per cui la donna è inferiore rispetto alla controparte maschile.
Sono autori figli del loro tempo, i cui scritti sono importantissimi per comprendere la loro contemporaneità. Ma devono rimanere fermi, “bloccati”, nella loro contemporaneità per comprendere il loro presente, totalmente lontani dal nostro.
L’importanza sta nel comprendere il contesto storico di riferimento. Come dico sempre, la conoscenza dello stesso ci aiuta a capire perché un dato autore ha scritto ciò che ha scritto, e per quale motivo si aveva, nel nostro caso, una certa concezione della donna.
Nel primo capitolo, per esempio, cito e critico alcuni (di tantissimi) autori che affermano che in realtà il cristianesimo antico ha emancipato un ruolo femminile già sottomesso nel mondo antico. In realtà la questione non è così semplice: di quale cristianesimo stiamo parlando? Di quale società antica?
Su quest’ultima domanda, abbiamo certamente differenze nette fra la società greco-latina dove è presente, anche se poco sopportato, un ruolo di rilievo delle donne in alcuni aspetti della società (si pensi alle sacerdotesse, alle profetesse, ai ruoli oracolari, o in alcuni casi anche come insegnanti e filosofe), a differenza invece di una società ebraica antica dove vigeva una forte teocrazia di stampo maschilista, in cui le donne avevano un ruolo esclusivamente subordinato in ogni aspetto della società.
In questo caso, il cristianesimo (quale, dei tanti esistenti all’epoca?) in quale società antica avrebbe emancipato il ruolo della donna? In quella greco-latina? Ha superato il ruolo subordinato di quella ebraica antica?
Nel libro dimostro come, purtroppo, soprattutto con il cristianesimo latino di stampo occidentale si sia ulteriormente esacerbata la posizione della figura femminile, e come tale concezione sia divenuta una realtà di fatto giustificabile da una religione (la cristiana cattolica) considerata l’unica vera (alla fine del IV secolo a seguito dell’Editto di Tessalonica), e dal suo libro sacro e oggettivamente vero per eccellenza (la Bibbia, contenente Antico e Nuovo Testamento).
Aver fatto di tali scritti dei testi sacri e quindi assolutamente veri, significa aver esteso quella contemporaneità figlia del suo tempo fino ai giorni nostri. Se ancora oggi abbiamo tali strascichi è perché, volente o nolente, il condizionamento plurisecolare di un’unica verità assoluta fondata su tali testi e autori ha generato ciò che io chiamo “memoria genetica”: un certo modo di pensare e concepire il mondo che ti circonda attraverso un’educazione condizionata da quell’ipse dixit figlia di quel libro sacro su cui si sono caricate in maniera ingiustificata verità assolute di carattere religioso, politico, economico, scientifico etico e sociale.
E distaccarsi da un tale condizionamento lungo più di millecinquecento anni non è affatto facile.
Tertulliano dedica un’intera opera sul perché le donne debbano portare il velo, il “De Virginibus Velandis”, seguendo la traduzione fatta del già citato Gramaglia. In questo testo, Tertulliano trova nell’esigenza di velare il capo alle donne una giustificazione non solo come semplice regola di abbigliamento. Rifacendosi alla tradizione ebraica antica secondo cui i capelli sciolti delle donne sono da ritenersi una nudità e motivo di eccitazione sessuale per gli angeli (in riferimento alla più volte citata letteratura enochica, ma non solo), ecco che Tertulliano afferma come il velo testimoni non solo l’entrata ufficiale nel mondo femminile per le ragazze; ma come il velo sia una tutela per loro stesse in quanto gli angeli siano eccitabili sessualmente dalle giovani ragazze dai lunghi capelli.
Un’esigenza, questa del velo, che trova riscontro anche in culture antecedenti all’interno di questa sfera erotica fra il profumo dei lunghi capelli delle ragazze vergini e “in età da marito”, e la brama degli esseri celesti. Un tema approfondito soprattutto nel mio terzo lavoro “Dei e semidei”, scritto assieme all’amico e autore Mauro Biglino.
Attualmente sono già a lavoro al mio prossimo libro. L’argomento sulla concezione femminile nel cristianesimo antico e nella società romana è stata una piacevolissima parentesi. Con il mio prossimo lavoro si ritorna totalmente nel puro solco cristiano, ma concentrandomi questa volta sui già citati Padri della Chiesa della tradizione cristiana antica (quindi tra il II ed il IV secolo). E non nascondo che all’orizzonte potrebbe esserci una nuova edizione di “Dei e semidei” con tantissimi e nuovissimi contenuti ed ulteriori approfondimenti di temi già trattati.
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