Dopo aver letto questo prezioso testo che descrive la Storia culturale dell’alimentazione in Età moderna (dalla fine del XV all’inizio del XIX secolo), mi sono subito convinta che non si può conoscere nel profondo un’epoca se non la si analizza anche dal punto di vista delle abitudini alimentari, delle usanze culinarie, del cibo che veniva maggiormente consumato, addirittura le modalità con cui si mangiava; tutte queste argomentazioni ci aiutano a scavare nei costumi di ogni periodo storico e, in qualche modo, entrarci in intimità. Il professor Quellier, docente di storia moderna all’Università di Angers, ci racconta un’età particolarmente caratterizzata dall’alimentazione; è il periodo dei grandi viaggi, delle scoperte, delle colonizzazioni, inevitabili sono le grandi quantità di cibo che approdano sulle tavole dell’Ancien Régime. Non solo, il cibo definisce le classi sociali, è associato alla medicina degli umori di Galeno, è spesso vittima delle superstizioni e di convincimenti bizzarri sulle sue proprietà e diventa oggetto di analisi scientifiche, proprio nel periodo in cui la scienza sta avendo la sua rinascita come risposta ai dogmi religiosi.
“Così una cultura alimentare definisce gusti e disgusti, vivande prestigiose e tabù, accostamenti di alimenti ed esclusioni. Suggerisce l’ordine del menù, il numero di pasti giornalieri, i loro orari e i loro spazi. Decide riguardo al crudo e al cotto, al bollito e all’arrosto, alla scodella e alla forchetta. Nutre una gestualità e un atteggiamento del corpo propri del mangiare e del bere che rivelano una condizione sociale, un’educazione e un’epoca culturale, a maggior ragione dato che l’Età moderna prosegue e accelera il processo di codificazione delle buone maniere a tavola riapparso in Occidente nei secoli XII-XIII. “
Il testo ci racconta l’abbondanza alimentare dell’élite in contrasto con quella popolare, la nascita del galateo e del successo di alcuni alimenti, come lo zucchero, il caffè, il cioccolato, le patate, il té, il peperoncino, il pomodoro e molti altri. Ci narra delle loro origini e di come questi cibi siano diventati nel tempo di largo consumo nella società, anche grazie al loro valore simbolico che ha portato prestigio alla figura del cuoco e alla nascita dei ristoranti come luoghi di intrattenimento per gli aristocratici, in opposizione alle locande.
Se il conosciutissimo quarto aforisma del “professore” Brillat-Savarin “dimmi cosa mangi, io ti dirò chi sei” risale al 1826, la realtà socioculturale da lui descritta è molto anteriore. Società fondamentalmente basata sulle disuguaglianze e visceralmente attaccata ai segni materiali della distinzione sociale, l’Ancien Régime considera la tavola e l’alimentazione come marcatori sociali, religiosi e politici imprescindibili in quanto comprensibili da tutti. Gli sguardi sulla tavola dell’Altro contribuiscono così in modo decisivo a costruire stereotipi geografici, sociali e religiosi, senza sottostimare le costrizioni economiche, una storia delle rappresentazioni sa che comunque una cultura alimentare è basata anche su tabù appresi e disgusti condivisi poiché non basta che un alimento dia buono da mangiare: occorre anche che sia buono da pensare e immaginare.
Il libro di Quellier suscita interesse sia dalle prime pagine, la sua è una ricerca completa, che analizza il cibo e tutto ciò che lo riguarda sotto molti punti di vista. Di grande curiosità sono i capitali dedicati agli alimenti esotici e la loro trasformazione da cibo inconsueto a piacevole abitudine; molte delle usanze e di ciò che mangiamo oggi in Europa lo dobbiamo alla formazione della società a partire dal Rinascimento e sono sicura che diverse cose che diamo per scontate adesso non lo saranno più dopo aver terminato la lettura.
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