Vi siete mai chiesti com’erano costituite le società prima dell’idea di Dio?
Avete mai pensato che il Dio Padre e il suo significato non esistono da sempre ma che probabilmente per millenni è esistito un altro tipo di società basata su valori e un paradigma diverso? E se vi dicessi che prima del cosiddetto patriarcato le comunità del Paleolitico veneravano e onoravano il femminino sacro, le Dee e la visione della donna era tutt’altro che subordinata all’uomo?
Stefania Tosi, docente e ricercatrice, ci racconta in questo straordinario testo il culto ancestrale della Dea:
“In principio vi era un grembo femminino, sacro e numinoso da cui nacquero il mondo, le stelle e l’umanità.
Millenni prima dei monoteismi patriarcali, nel cuore del Paleolitico era diffuso un culto intriso di spiritualità e sciamanismo che univa le donne e gli uomini, dalla Siberia fino alle terre oltreoceano. Era il culto ancestrale della Dea che creava, che dava la vita e la morte. Lei si manifestava tramite la natura, dava ordine e motivazione all’esistenza. In Lei si realizzava l’eterno ciclo magico di “vita-morte-rinascita” che aveva il suo corrispettivo umano nella donna.”
L’indagine di Stefania Tosi è una ricostruzione storica e archeologica delle società antiche prima dell’avvento del patriarcato, prima ancora della cosmogonia con a capo divinità maschili, infatti, il saggio analizza con una accurata documentazione contesti fino ad adesso poco sondati e propone ipotesi molto valide sui molti popoli della terra che onoravano la Dea e sui culti a lei connessi, descrivendo anche il cambiamento che portò alla fine di quella cultura e l’arrivo di una nuova visione basata sull’uomo, sugli Dei e sulla guerra.
Ecco una intervista di approfondimento all’autrice!
Per rispondere alla prima domanda dobbiamo tutti fare un passo indietro e spogliarci dei costrutti religiosi prodotti da duemila anni di cristianesimo e in generale di patriarcato e di monoteismo. È necessario spingere lo sguardo lontano, e provare a vedere il mondo come lo vedevano i nostri antenati del Paleolitico Superiore. Allora ci renderemmo conto della più semplice e limpida delle verità: la vita, ogni forma di vita, nasceva da un grembo femminile. Ciò ha naturalmente portato all’adorazione di un principio femminino immanente al mondo: la Dea Madre. Ella era la creatrice, la regola misteriosa della morte e rinascita della vegetazione, della danza tra luce e tenebra, dei ventri delle donne che generavano altre piccole vite.
Le società paleolitiche molto probabilmente non avevano ancora ben chiara la relazione tra l’atto sessuale e la procreazione e quest’ultima veniva considerata soprannaturale e femminile. Come si poteva quindi immaginare che un dio (maschio) potesse dare la vita? La Dea Madre è stato l’elemento spirituale e l’espressione culturale più antica e duratura nella storia dell’Umanità. La sua presenza naturale ha unito i popoli della Terra per migliaia di anni. La terra era il grembo della Madre da cui tutto nasceva e a Lei prima o poi, si faceva ritorno.
L’importanza del femminino è documentata dall’arte figurativa in cui la figura femminile era dominante rispetto a quella maschile: incise, dipinte su pareti di grotte, o statuette in osso, pietra o argilla vengono chiamate “Veneri del Paleolitico”. Le più famose sono la Venere di Willendorf, di Laussel, di Lepsugue e di Brassempouy a cui ho dedicato la copertina del libro. Le rappresentazioni erano varie ma in generale possiamo sintetizzare alcuni tratti comuni: la nudità, a volte l’opulenza dei corpi, l’evidenza degli attributi sessuali, come seno, natiche e parte superiore delle cosce, vulva; l’assenza o la dimensione ridotta della testa, spesso priva di bocca e occhi. Questi elementi suggeriscono una chiave interpretativa simbolica della figura femminile, traslata dal piano umano ad uno superiore. In questo senso potremmo dire che le Veneri assolvevano ad una funzione di mediazione tra il mondo umano e quello soprannaturale.
Le statuette sono state ritrovate su un territorio molto vasto dall’Inghilterra alla Siberia e risalgono a circa 35.000 anni fa. Le Veneri in qualche modo ci parlano anche della società primitiva paleolitica per cui ogni donna aveva in sé qualcosa di soprannaturale e magico, come la Dea Madre.
L’ipotesi Kurgan di Marija Gimbutas, la nota archeologa lituana scomparsa nel 1994, è una delle possibili interpretazioni delle origini indoeuropee, ancora oggi uno dei più dibattuti fra archeologi e genetisti. In sintesi possiamo dire che l’ipotesi Kurgan, fino ad alcuni anni fa assolutamente incontestata, prevedeva una serie di conquiste da parte di un popolo di pastori guerrieri a cavallo del IV millennio, che nelle steppe dell’Ucraina avevano dato vita a una cultura detta appunto kurgan. I pastori guerrieri, dalle steppe dell’Ucraina, successivamente evoluti nella forma delle culture dette delle Asce da Combattimento, avrebbero invaso l’Europa in diverse ondate, sterminando o assoggettando le popolazioni locali del continente europeo e sostituendo la propria lingua a quasi tutte le lingue preesistenti. Questa è una delle possibili interpretazioni del complesso fenomeno di indoeuropeizzazione.
Tuttavia ne esistono altre ancora in fase di studio. È probabile che il drammatico evento descritto da Gimbutas sia da rivedere, soprattutto per quanto i riguarda i tono più apocalittici, in favore di una visione, detta Teoria della Continuità, che comprenda maggiormente gli sviluppi interni, economici e sociali. I popoli preindoeuropei si sarebbero sviluppati diversi millenni prima di Cristo su basi egualitarie, tendenzialmente pacifiche e matrilineari. Prima dell’arrivo dei Kurgan, le culture dell’Europa antica hanno goduto di uno sviluppo costante, che produsse un equilibrio cooperativo a livello sociale, tanto da essere definiti da taluni studiosi come «cittadini ugualitari»; non solo, le società si basavano su sistemi di consenso collettivo e adoravano le forze naturali, raffigurate con fattezze femminili. Poi qualcosa è cambiato, i sistemi sociale si fecero sempre più gerarchici, patriarcali e marziali, e ciò si è traslato anche sul piano divino con l’affermazione di pantheon-specchio delle istituzioni umane.
Il ruolo della donna nelle società primitive, indagato a partire dal XIX secolo, è stato interpretato secondo i valori borghesi, patriarcali e sessisti del tempo. Gli studiosi ottocenteschi, considerando che la disuguaglianza e la superiorità del maschio sulla femmina sono determinate dalla natura e pertanto immutabili per ogni epoca e luogo, hanno applicato le loro convinzioni sulla donna preistorica, decretando l’inferiorità della condizione femminile e il suo scopo
meramente incentrato sulla riproduzione. Al riguardo, comunque, si erano già espressi i Padri della Chiesa, in modo lapidario. La condizione della donna nel Paleolitico era davvero questa? L’utilizzo di nuovi metodi di analisi più precisi hanno permesso di delineare un quadro diverso, anche se ancora incerto, e di scoprire che la preistoria era più donna di quanto pensassimo: partecipavano alla vita del clan in vari modi, non solo come madri – ruolo importantissimo- ma anche come artiste. Studi recenti hanno riconosciuto tra gli autori delle meravigliose opere parietali e mobiliari, come i dipinti della grotta di Altamira o Chauvet, anche le donne. Artiste, dunque, e anche sciamane/sacerdotesse che tramite i rituali contattavano il mondo degli spiriti per ricevere visioni, suggerimenti o aiuti.
Il ruolo delle donne, in sintonia con il culto del Femminino, era di rilievo, poiché in ogni donna si manifestava quel potere misterioso e universale che abbracciava il creato. In virtù di tale potere le era la mano mistica che univa i mondi, quello umano e quello soprannaturale. Con questa affermazione non intendo sostenere forme di matriarcato ma ribadire che le società primitive non erano come ci sono state descritte per anni e che la donna non era un “complemento d’arredo con prole”. Finora infatti non è stata dimostrata una gerarchizzazione delle società paleolitiche, questo aspetto inizierà ad affermarsi con il Neolitico, che porterà alla sedentarizzazione e all’“istituzionalizzazione” della guerra e della violenza come mezzi di affermazione personale e di clan. Prima di allora, però, è doveroso rammentare che la donna è stata coprotagonista, insieme all’uomo, della storia agli albori della civiltà umana.
Il simbolo del peccato è il serpente. Creatura astuta e infima che altro non vuole se non la dannazione dell’umanità, giusto? Ecco nel mondo antico, prima delle elucubrazioni cristiane, il serpente era ritenuta una creatura magica dai grandi poteri. Sublime e pericoloso, il serpente incarnava uno degli aspetti della Dea Madre, quello rigenerativo: cambiar pelle infatti equivale a una nuova vita. Evocava anche conoscenze segrete per la sua natura liminale, egli infatti dava l’impressione di muoversi tra i mondi, scivolando nel regno ctonia della Dea per poi riemergere integro e sano. Questo ne ha fatto il simbolo della continuità della vita, in una sorta di cerchio eterno.
In questo senso perfetta è la raffigurazione dell’Uroboro, il serpente mitico che avvolgeva con le sue spire l’intero oltretomba e che con la sua forma ad anello simboleggiava l’eternità. L’unione della Dea con il serpente, simbolo di rinnovamento, evocava il grande mistero della morte apparente della natura, che a ogni cambio di stagione, come un serpente, mutava pelle e rinasceva. Come il serpente, anche la Dea aveva un aspetto terribile, quello della Morte, tuttavia complementare e necessario al mantenimento del ciclo della vita.
La dea Neith è poco nota ma è una delle divinità più antiche e affascinanti del pantheon egizio. Lei infatti è una dea-demiurgo, quindi la Creatrice del mondo. Infatti veniva chiamata la «progenitrice degli dèi» ed era considerata l’Origine di ogni cosa. Nel periodo noto come protodinastico la dea Neith godeva di venerazione e molte regine infatti portavano nomi teofori a lei dedicati. Il principale tempio e luogo di culto a lei dedicato si trovava a Sais, nel Delta. Anticipando la cosmogonia di Atum elaborata a Eliopoli, Neith è stata una divinità androgina, con elementi maschili e femminili insieme. Questo aspetto di essere «Padre dei padri e Madre delle madri» rientrava nell’interpretazione simbolica egizia per cui la vita non poteva che nascere da un’entità che assommava in sé gli opposti complementari.
La pelle blu della dea rivelava la sua natura cosmica e i suoi simboli, l’arco e le frecce, dimostrano il ruolo centrale nella vita politica e sociale dell’Egitto: Lei infatti era la guerriere che avrebbe difeso il faraone e combattuto al suo fianco per il bene del regno. Perché Neith è meno nota di Iside o Hathor? È difficile dare una risposta univoca. Forse per il ridimensionamento del suo ruolo cosmogonico in favore di altri dèi come Atum, Ptah o Amon; Neith piano piano, durante l’Antico Regno, scomparve dalle grandi narrazioni religiose ma non venne dimenticata. Per esempio la dea è una della quattro divinità che furono poste a protezione del tabernacolo di Tutankhamon. La XXVIesima dinastia la riportò in auge, ristrutturando il suo tempio (oggi comunque perduto) e celebrando in su onore la «festa delle luci» nel mese di luglio, una sorta di rievocazione del mito cosmogonico. Come altre divinità egizie e non egizie, Neith appartiene a quel sostrato del mediterraneo preindoeuropeo che riconosceva al Femminino- depositario del segreto della vita e della Rinascita- un ruolo fondamentale nei miti cosmogonici. Lei è uno dei volti della Grande Madre.
L’alambicco delle novità ribolle e distilla sempre. Posso anticipare l’imminente uscita del saggio intitolato “Viaggio nell’Antico Egitto” per l’Età dell’Acquario e entro fine anno annuncerò qualcosa (per ora non posso dire di più) riguardo al faraone Tutankhamon, di cui quest’anno ricorrono i cento anni della scoperta della tomba.
Se volete essere aggiornati su ciò che accade nel selvaggio West, scrivo anche per la Far West Gazette della Sprea editrice: per il numero di luglio ho scritto un pezzo sul massacro di Wounded Knee. Infine per l’anno prossimo… questo ancora non posso dirlo, ma seguitemi sui miei canali (Instagram, Facebook, il mio Blog) per essere sempre aggiornati sulle novità e prossime uscite.
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