Dopo la lettura di questo romanzo, ambientato a Roma nel 1459, la mia idea del famoso pittore Piero della Francesca è totalmente mutata. Non so voi ma non ho mai guardato gli artisti di un certo calibro attraverso uno sguardo innamorato, a volte impudente, spinto dal desiderio; anzi, per lo più l’approccio con cui vengono descritti questi uomini dal grande genio è prevalentemente quello dell’ammirazione, scevro da qualsiasi altro sentimento. Ne “La ritrattista”, seguito de “Il mistero della pittrice ribelle” (2021), seguiamo le vicende di Lavinia, giovane artista, nipote del maestro Domenico da Venezia, e sotto la tutela del celebre Piero della Francesca, del quale è profondamente innamorata,
e alle prese con un mistero e una serie di delitti funesti.
Proprio in virtù di questo amore proibito, pensando che Piero sia in pericolo, lo raggiunge nella città eterna per indagare con lui e scoprire cosa si nasconde dietro a quelle efferate circostanze; lo scenario a cui si va incontro è una Roma esoterica, nascosta e più che mai straordinaria, agli occhi della giovane protagonista. Quello che però colpisce di più è la caratterizzazione del grande artista toscano, emblematico, seduttivo, tenebroso e dal carisma formidabile, un uomo non solo capace di realizzare le opere più incredibili ma dalla mente acuta, un investigatore di eccezione alla quale è impossibile resistere.
Molto interessanti sono anche gli altri personaggi che gravitano attorno ai protagonisti, rotondi, anche loro segnati da segreti e sospetti, perfettamente calati in epoca rinascimentale.
Anche se nasce come seguito del primo, entrambe sono opere autoconclusive e si possono leggere separatamente, quest’ultimo ha molti pregi e proprio per questo, ho chiesto all’autrice di rispondere a qualche domanda.
Quanto di Piero è acclarato, ovvero il suo spessore intellettuale, la sua fascinazione per i numeri, le filosofie neoplatoniche di cui è intrisa la sua opera sono suggestioni intriganti, che restituiscono una personalità poliedrica e geniale. Sono state però soprattutto le sue opere, sulle quali tanti hanno scritto senza mai svelarne appieno i segreti, a darmi la certezza che fosse proprio lui il protagonista ideale per la storia che avevo in mente. Davanti ai suoi spazi immobili permeati di luce, si sperimenta una sublime armonia ma anche la sensazione di trovarsi davanti a un enigma di cui non si possiede la chiave. Così, più o meno come ero solita fare nei laboratori di arteterapia, mi sono posta davanti a quelle immagini in cerca di elementi utili a tratteggiare il “mio” Piero, a cui volevo infondere lo stesso mistero.
Ne è scaturito un personaggio che, al pari delle sue figure, solide come colonne e altrettanto insondabili, è capace di un totale controllo delle emozioni e dotato di un carattere sfuggente e imprevedibile. La stessa colata di luce, limpida e cristallina che bagna le opere di Piero risplende nella grande profondità spirituale di un uomo che è ho immaginato impegnato in un percorso di evoluzione personale. Alla fiamminga perfezione dei suoi dettagli dipinti corrisponde una maniacale, sovrumana attenzione, che rende il mio protagonista capace di cogliere particolari invisibili all’occhio comune, mentre la rigida gabbia prospettica in cui sono costretti i suoi universi, fatta di rapporti matematici, è specchio di una lucida visione e di una capacità deduttiva degna del migliore degli investigatori.
Chi meglio di lui, dunque, avrei potuto scegliere per sbrogliare la matassa delle oscure vicende narrate nei miei romanzi?
Essendo appassionata d’arte, il Rinascimento è un’epoca che esercita su di me un fascino irresistibile. La centralità dell’essere umano, il desiderio di penetrare la natura per carpirne i segreti, l’esaltazione del sapere, la fascinazione per l’antico e la classicità, la volontà di trascendere i propri limiti, sono alcuni degli aspetti di un’epoca pervasa da uno straordinario fervore culturale e creativo. Un’epoca che gli artisti vissero da assoluti protagonisti. Rievocarne le atmosfere tratteggiandone luci e ombre, splendori e miserie, trasportare il lettore con le mani fra oli e pigmenti, a origliare segreti di bottega, dialoghi, sperimentazioni, dandogli l’illusione di sedere accanto agli artisti mentre realizzano le proprie opere partecipando ai loro successi e alle loro difficoltà è stata la sfida che mi sono posta fin dal principio e che ho affrontato ricostruendo con cura ogni dettaglio per rendere più credibile questo viaggio nel tempo.
I due protagonisti sono molto diversi, ma uniti da un sentire comune che è quello dell’arte. Questo risulta evidente fin dal loro incontro all’inizio del primo romanzo e l’arte resta anche ne “La ritrattista” un canale di comunicazione privilegiato fra di loro. La dimensione artistica è sempre preponderante nella mia scrittura, perché quella è la mia formazione, il mio lavoro e anche da sempre la mia passione.
Conoscendo la materia, frequentando l’arte io stessa ed essendo abituata, da arteterapeuta, a scrutare nelle immagini, ho potuto attingere alla mia esperienza personale. Non ho dunque avuto difficoltà nell’evocare le sensazioni sperimentate da Lavinia durante l’atto creativo e neppure nel descrivere le sue profonde impressioni davanti alle opere d’arte che incontra sul suo cammino. Naturalmente è stato necessario invece un accurato lavoro di documentazione per ricostruire le tecniche, le procedure, gli strumenti e i materiali in uso al tempo della mia storia. Ricerche condotte con l’aiuto di esperti di conservazione e restauro, consultando esami diagnostici sui dipinti e antichi manuali, fra i quali “Il libro dell’arte” del Cennini, un prezioso, esaustivo compendio di segreti di bottega e trucchi del mestiere, indispensabili per ogni aspirante artista del ‘400.
La mia fascinazione per le donne pittrici è di vecchia data e ho sempre ammirato soprattutto quelle coraggiose rivoluzionarie che per prime hanno osato sfidare le convenzioni di un’epoca in cui l’arte era saldamente relegata in mani maschili. Non a caso il mio primissimo romanzo è stato dedicato a una di loro, Sofonisba Anguissola, che non solo riuscì a raggiungere traguardi artistici fino ad allora impensati, ma anche a vivere una vita del tutto straordinaria per qualsiasi altra donna del suo tempo.
Lavinia, che è un personaggio immaginario collocato un secolo prima di Sofonisba, è nata come una sorta di omaggio a quest’ultima e a tutte le altre pioniere dell’arte. Al pari di loro, non è disposta a rassegnarsi a un futuro già tracciato e non rinuncia a seguire sempre ciò che il proprio animo le suggerisce, senza lasciarsi intimorire dalle possibili conseguenze.
Nel corso dei due romanzi Lavinia cresce e, se gran parte dell’innocenza e della spontaneità iniziali sono state spazzate via dagli eventi, ne “La ritrattista” la ritroviamo più donna. L’intraprendenza, che già non le faceva difetto, si accompagna a una nuova determinazione di costruirsi un’identità autonoma e una sempre maggiore consapevolezza di sé, che la porta a rapportarsi anche con Piero su un piano di parità. Mi piace pensare però che tutto questo percorso di trasformazione non sarebbe stato tale se Lavinia in un giorno lontano non avesse trasgredito per la prima volta e impugnando uno strumento, non avesse scoperto di poter creare.
Continuare a raccontare storie che intrecciano a trame di fantasia le suggestioni dell’arte e la magia della creatività umana. E chissà che fra queste non ci sia ancora spazio per far vivere a Piero e Lavinia una nuova avventura.
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