I reportage di viaggi, specialmente se sono viaggi estremi, mi affascinano da sempre. Incapace di prendere decisioni così drastiche, e buttarmi a capofitto in una avventura che preveda rocamboleschi spostamenti senza avere la certezza di raggiungerli, sono decisamente più incline a leggere con curiosità le esperienze degli altri comodamente seduta sul divano! Devo precisare che, se il libro è scritto bene, la sensazione di partecipare, di essere con chi vive quelle situazioni, è comunque assicurato. Questo è il caso di “Estremo Nord”, scritto dall’esploratore e micologo Lawrence Millman, interessante resoconto di una sua esplorazione sulle rotte che i Vichinghi fecero centinaia di anni fa inoltrandosi tra le regioni più aspre della Terra. Con un linguaggio suggestivo e a tratti divertente, Millman ci porta sulle coste della Norvegia, in Islanda, nelle Isole Shetland, alle Fær Øer, per poi giungere in Groenlandia, fino in Labrador e Terranova. In ogni tappa, scandita e raccontata come fosse un diario, ci trasporta in lande desolate sferzate dal vento, ispidi iceberg, luoghi insoliti per lo più abitati da animali, in condizioni climatiche spesso impossibili e mezzi di trasporto da incubo.
“Seguire i Vichinghi significa seguire il sole e ripercorrere la storia della civiltà occidentale. Come avrebbero fatto altre moltitudini di emigranti dopo di loro, essi avevano lasciato la vecchia e corrotta Europa per terre ricche di promesse. L’unica differenza era che la loro idea di terra promessa era di tipo geologico: catene montuose tetre e infeconde anziché dolci pianure, isole frastagliate e roccia ontologica anziché città. Roccia che offriva loro nuovi mondi, ancor prima di offrire il Nuovo Mondo.”
L’incontro con gli abitanti è ciò che rende questo testo davvero speciale, bizzarri e coriacei come le terre in cui vivono, raccontano di misteriose leggende, conducono l’esploratore negli insediamenti vichinghi e sono le ultime testimonianze delle antiche tradizioni del Nord. Aneddoti stravaganti e usanze che noi europei continentali non sappiamo neanche decifrare sono le caratteristiche che più colpiscono durante la lettura, persino gli animali hanno una spiccata personalità, tanto che in più di una occasione Millman mi ha strappato una risata mentre era alle prese con uccelli dispettosi e volpi curiose.
Ma è pur vero che quei territori sono posti dove è difficile vivere, e questa difficoltà, sempre più minacciata dall’inquinamento e dalla tecnologia, (anche se è stato pubblicato nel 1991 si sentiva già forte questo pericolo), è come un’ombra velata che incombe su tutta la storia; mi chiedo come sarà adesso…
“A un certo punto mi fermo a riposare e scopro di essere osservato da due pecore grigionere delle Shetland, la cui lana pende giù in un groviglio di grumi, nodi e groppi. Non devono vergognarsi di questo disordine: le pecore delle Shetland sono le discendenti di quelle allevate dagli uomini del Neolitico e sono le pecore addomesticate più primitive esistenti oggi al mondo. Ma non sembrano affatto vergognarsi. Mi fronteggiano imperterrite, impassibili, anche un tantino sprezzanti, come se avessero una specie di memoria razziale dei miei progenitori, che camminavano accovacciati con i perizoma a coprire la loro virilità. O forse mi stanno solo giudicando-con la barba incolta, le briciole di pane, gli escrementi di uccelli, eccetera-come il più primitivo umano addomesticato mai visto.”
Arriviamo al tasto dolente: come prevedibile, non sono una sprovveduta, la caccia e il mangiar carne sono tra le attività più diffuse tra le persone dell’estremo Nord. Perciò, il nostro avventuriero descrive queste attività seguendo prevalentemente pescatori o cacciatori di foche. Detto questo, profondamente consapevole che in quei luoghi cibarsi di verdure o praticare dei lavori altrettanto redditizi è assai arduo, ho tenuto da parte la mia emotività e il mio stile di vita da privilegiata per capire le ragioni dell’altro e devo ammettere che è stato utile.
Sono contenta di aver letto questo libro e di aver sofferto nel leggere certe cose, chiedendomi anche come faranno queste persone in futuro, dove la prospettiva sarà sempre più quella di empatizzare con gli animali non umani e abbandonare le vecchie abitudini per delle nuove. Come se la caveranno in una società così lontana dal loro modo di vivere, che paradossalmente è molto più vicino a “una vita naturale”, passatemi il termine, che quella che perseguiamo noi occidentali egocentrici e consumisti?
Francamente non ho una risposta… perché non c’è soltanto l’impresa di cambiare la mente di queste comunità isolate, già di per sé improbabile, ma c’è il problema reale di adattare un territorio da secoli pungente e imprevedibile alle nuove necessità delle future generazioni.
Sicuramente per lo stile narrativo gradevole e ironico, poi perché il reportage non è il solito a cui siamo abituati; il percorso è volutamente inusuale e complesso, c’è davvero la volontà di trasportare il lettore o la lettrice in posti che altrimenti non andrebbe, di descrivere com’è la realtà senza tanti fronzoli e senza sensazionalismi. E a dirla tutta, non ho neanche percepito l’arroganza tipica dell’occidentale che gira per il mondo, pensando di sapere tutto su come bisogna vivere per essere felici… avete presente?
Sito ufficiale di Lawrence Millman: lawrencemillman.com
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