Che cosa fareste per amore? Fin dove vi spingereste per appagare i vostri desideri? Sareste in grado di seguire anche i più inconfessabili? E se a inseguire questi desideri, tra i più segreti, fosse una donna, applichereste lo stesso criterio di valutazione morale come se fosse un uomo? Matteo Strukul ci pone davanti alle domande più sconcertarti attraverso la vita tragica e struggente di Marianna Virginia de Leyva (1575-1650), da tutti conosciuta come la Monaca di Monza. Relegata a un personaggio secondario ne I promessi sposi di Manzoni, dobbiamo ammettere che il carisma di quella donna misteriosa e prigioniera non ci ha lasciati indifferenti. E molti di noi ci siamo chiesti chi fosse in realtà quella monaca, quale passato turpe celasse, perché, seppure la sua fosse un’apparizione breve, ci avesse colpiti così tanto. Ebbene, il romanzo “Marianna. Io sono la monaca di Monza” soddisfa la nostra curiosità e ci scuote fino alle viscere. Basato sulle fonti che parlano della vita di Marianna de Leya e sui documenti relativi al suo processo, questo testo mette in discussione molte delle nostre convinzioni in fatto di morale e sulla nostra idea di amore.
Al di là del desiderio intenso e irrinunciabile d’essere obbedita, non avevo intenzione di dividere Gian Paolo con loro, non al momento perlomeno, giacché era troppo importante per me condurlo alla pazzia. Consideravo Ottavia e Benedetta utili strumenti per raggiungere il mio scopo: incoraggiare le mire di Gian Paolo per poi negarmi nel modo più violento, non appena egli non fosse più riuscito a trattenersi. Nel frattempo, ero ben consapevole che egli sperava di vedermi capitolare, presentandosi alla santa messa e scrivendomi lettere che definire peccaminose era dire poco. E in quel procedere di giorno in giorno, di sguardo in sguardo, di lettera in lettera, il nostro strano gioco progrediva e io sentivo la passione di lui farsi fiamma inestinguibile. Avvertivo il suo struggersi di desiderio inappagato e il tormento che lo divorava per non poter aver ciò che tanto voleva.
Ogni elemento di questo libro è fatto per sconvolgere, intrigare, capire, e raccontare ciò che per molti autori e autrici è un tabù: fin dove ci si spinge per amore? Ed esiste un’unica definizione del desiderio amoroso? E per Marianna l’amore fu un atto liberatorio dalla condizione in cui si trovava oppure la rese ancora più prigioniera? Le risposte non sono semplici, e spesso non riusciamo ad essere onesti con gli altri e nemmeno con noi stessi. Tra i tanti pregi del romanzo c’è quello di entrare nell’animo tormentato della protagonista, di vedere ciò che accade con i suoi occhi e di uscire dall’obsoleto paradigma che divide la realtà in bene e male. Strukul non giustifica gli atti che vengono perpetrati, ma li mette in mostra senza formulare alcun giudizio morale, in un abile gioco narrativo che denota tutta la sua bravura ed esperienza.
La risposta è semplice: perché il romanzo è molto bello. Però il termine “bellezza” non comprende solo un’ottima struttura narrativa, una mirabile scrittura e un autentico coinvolgimento, qui denota altre caratteristiche più profonde. Ad esempio, veniamo a conoscenza della condizione femminile di quegli anni, osserviamo le dinamiche che si vengono a creare quando si commettono i crimini, cosiddetti, passionali ed entriamo in contatto/simbiosi con personaggi che fino a un decennio fa avremmo considerato gli antagonisti, i malvagi, quelli che adesso chiamiamo villain. Quando un testo ci pone davanti a un punto di vista nuovo, insolito, poco sondato e che ci dona degli spunti concreti di riflessione, ha già fatto molto di quel che ci aspetta dalla narrativa oggi.
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