Mentre penso a come iniziare questa recensione e tengo il libro tra le mani mi chiedo se “Matrix” di Lauren Groff si possa definire davvero un romanzo storico. Il libro è ambientato nel XII secolo, l’Inghilterra deve fare i conti con le invasioni, le malattie, i conflitti politici che attanagliano i regni dell’Europa continentale e lo scontro culturale con le popolazioni dalla religione diversa e che definiscono pagani. L’autrice ci racconta le vicissitudini di Marie, figlia bastarda alla corte di Eleonora d’Aquitania e che viene allontanata dall’ambiente in cui è scresciuta per essere rinchiusa in una abbazia caduta in rovina gestita da monache altrettanto malmesse. Tutto fa presagire nella trama che ci siano i presupposti per una storia interessante sul riscatto femminile e sulle condizioni delle monache in un periodo storico così complesso. Dal mio punto di vista Lauren Groff non è riuscita nell’intento per diversi motivi, primo fra tutti lo stile narrativo tutto raccontato, privo di dialoghi, che non porta il lettore o la lettrice a empatizzare che i personaggi, tantomeno con la protagonista. Non mi è mai capitato di leggere un romanzo scritto con questa modalità e se posso presumere che in una romanzo contemporaneo possa anche funzionare qui sembra più un maldestro tentativo di imitare le apologie delle Vite dei Santi, che al tempo avevano certamente un senso, oggi decisamente meno.
Marie ha un temperamento forte, ribelle, si rimbocca le maniche e porta avanti i suoi propositi nonostante la cacciata da corte e con il duro lavoro riesce nel suo obiettivo, ovvero prendere in mano le redini dell’abbazia e farla risplendere di una luce nuova. Tutte queste vicende che legano Marie alle sorelle e all’abbazia non sono che lontane agli occhi di chi legge queste pagine, la sensazione è che ci sia un vetro spesso e resistente tra noi e i personaggi, l’immedesimazione è praticamente impossibile. Avrei voluto davvero partecipare attivamente immaginandomi quei luoghi e quelle donne ma non c’è stato modo.
“E il giorno che vengono chiamati a ripagare il dovuto, gli affittuari si presentavano da Marie, che non mostra nessuna pietà con chi piange povertà o perché ha troppi figli; e alla fine gli sventurati mollano e si frugano nelle tasche per pagare la quota che spetta all’abbazia, alcuni borbottano ma i più sono quasi fieri di dover ora rispondere a una donna così forte, audace, bellicosa e regale. Giacché è una profonda verità e umana che la gran parte delle anime di questa terra sono tranquille solo quando si trovano al sicuro nelle mani di una forza molto più grande della loro.”
Altro aspetto poco convincente è l’ambientazione storica, la scarsa descrizione delle usanze e senza figure storiche di rilievo, a parte Eleonora d’Aquitania tratteggiata sommariamente, mi ha fatto sorgere diverse domande: si può considerare storico un romanzo che non si avvale di una introduzione storica, senza il racconto di almeno un episodio realmente accaduto, privo di una nota dell’autrice che ci spieghi la sua ricerca delle fonti e soprattutto senza una bibliografia? Io non so se tutto questo è stato pianificato per “uscire dai canoni” di genere oppure è l’inesperienza rispetto al tema che l’ha portata a compiere queste scelte, qualunque sia il motivo è stato straniante non trovare almeno uno di questi elementi e ha aggiunto perplessità alla mia valutazione.
“Le donne di questo mondo sono vulnerabili; soltanto la reputazione può evitare loro di finire schiacciate. Questa badessa, rimasta impassibile davanti alla fame delle suore, si è però allarmata impassibile davanti alla fame delle sue suore, si è però allarmata al punto di passare all’azione di fronte alla minaccia che potesse diffondersi una chiacchiera sinistra.”
E se proprio la dobbiamo dire tutta anche i contenuti veicolati dall’autrice sul Medioevo non sono proprio edificanti, mi sono ritrovata a leggere alcune banalità trite e ritrite, come la sporcizia imperante, le suore brutte, antipatiche e dispettose, i paesani ignoranti e scalcagnati, una regina fredda e dispotica; insomma, niente che non abbia già letto in passato e che mi fa anche un po’ dubitare sui riferimenti culturali della Groff, perché paiono riferimenti che si leggono sui sussidiari!
Peccato, questa è una opportunità mancata! Poteva essere l’occasione di raccontare di donne particolari, non necessariamente dal carattere positivo, ma che potessero diventare una testimonianza credibile e realistica di come si viveva al tempo, con le loro sfaccettature e le difficoltà di essere suore in uno mondo di matrice patriarcale.
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