Quando pensiamo alla medicina nell’antichità l’immagine che ricorre più spesso è quella di Ippocrate di Kos, vissuto tra il 460 e il 377 a.C., medico greco e punto di riferimento della pratica medica e deontologica, oppure al celebre medico romano Galeno (129-201 circa d.C.), le cui ricette e gli scritti furono per secoli il canone, e che non venne mai messo in discussione fino al Rinascimento. Entrambi rappresentanti di una medicina accademica, istruita e prevalentemente maschile.
Ciò che non viene raccontato, e che fatica a entrare nell’immaginario collettivo, è che un tempo l’arte medica era delle donne, la loro dedizione alla cura era un fatto consolidato, era il loro modo per contribuire nella società, attraverso una medicina sacra e sapienziale, legata intimamente al significato dell’archetipo femminile.
“Se gli uomini hanno dominato l’universo delle parole, le donne hanno avuto potere sul mondo delle cose, apportando un contributo significativo sul fronte esperenziale e avvantaggiandosi nell’osservazione e nella pratica, nella conoscenza della natura e del suo impiego a beneficio della comunità.”
Nel libro “Medichesse”, Erika Maderna ci conduce in un percorso affascinante e necessario, ci riporta in un antico passato, quando il mondo era popolato da guaritrici, erboriste, pizie, sacerdotesse, levatrici, vestali, sante, alchimiste, maghe, e dee, incarnazioni simboliche e religiose del “mestiere della cura” e della peculiare caratteristica di poter amministrare il potere della Natura, fino al loro travisamento in streghe adoratrici del demonio, con la conseguenza della emarginazione e della perdita di quegli antichi saperi.
“Come si vede, il passaggio dal sistema di valori pagano alla prospettiva cristiana è solo parzialmente responsabile di questa trasformazione culturale; le premesse risalgono piuttosto alla precedente evoluzione del sostrato culturale preindoeuropeo, più aperto alle espressioni del sacro femminino, al successivo imporsi delle strutture patriarcali elleniche, che introducendo una diversa dialettica tra principio maschile e femminile ridefinirono in modo drastico questo immaginario.”
Il testo celebra e analizza l’archetipo della curatrice, dalla antichità preclassica fino al Rinascimento italiano, citando le donne che lasciarono la loro testimonianza di medichesse, come ad esempio Metrodora, figura del V-VI secolo che scrisse il trattato “Sulle malattie delle donne” o come Trotula de Ruggiero, esponente delle medichesse salernitane del XI secolo, passando per Ildegarda di Bingen, fino alle donne alchimiste come Isabella d’Este, Isabella d’Aragona, Caterina Sforza e tante altre.
Approfondiamo l’argomento direttamente insieme con l’autrice.
La storia delle donne mi appassiona da sempre. Nelle biografie del passato ritrovo pezzettini di un percorso che mi appartiene, di cui mi sento parte viva, e raccontarlo mi aiuta a mantenere saldo il senso di quell’appartenenza. L’avventura di ripercorrere il contributo delle donne alla medicina e alla scienza erboristica è nata dal fortunato incontro con Aboca, un editore particolarmente attento alle tematiche legate al dialogo fra uomo e natura e alla cura come modalità ecologica di abitare questo nostro pianeta. La prima edizione di “Medichesse” è del 2012, ma a distanza di dieci anni abbiamo deciso di ripubblicare questo saggio in una nuova veste accattivante. Fra la prima e la seconda edizione ho potuto godere del privilegio di raccontare i temi delle mie ricerche in occasione di numerosi incontri divulgativi; ho inoltre lavorato alla pubblicazione di altri due libri di approfondimento e sono stata piacevolmente stimolata da tante lettrici e lettori che mi hanno incoraggiata a proseguire.
Il mondo del mito è parte viva della mia ricerca. “Potnia” (“La Signora”), parola di origine micenea confluita nel greco antico, è la definizione con la quale si è soliti identificare la Dea venerata nell’area mediterranea in epoca preellenica. In quanto ipostasi della Natura, che può essere madre e matrigna, la Potnia era portatrice di tratti ambivalenti, considerata padrona delle fiere selvagge, protettrice della natura e conoscitrice del mondo vegetale. Da questa espressione dell’antico femminino sacro sono discese le più giovani generazioni di dee e molte figure mitiche a noi famigliari, che dell’antenata hanno conservato il potere di dare e togliere la vita, di guarire o uccidere. Nella Potnia è conservata in nuce la rappresentazione della strega, anche nella sua identità di guaritrice magica e di medichessa, che in quanto manifestazione del potere femminile archetipico è stata nei secoli bandita dalla cultura patriarcale e demonizzata da quella cristiana, fino a identificarsi completamente con la polarità oscura e pericolosa. Dall’immaginario alla storia, un filo sottile ha dipanato la storia del femminile magico.
Si tratta di un processo che ha avuto una lunga incubazione e che è già presente nel mondo classico. Nei poemi omerici, le figure femminili legate all’universo della magia sono presentate come esperte conoscitrici di erbe. Pensiamo a Circe e a Medea, per esempio, che possiamo definire vere e proprie “protostreghe”, preparatrici di filtri, raccoglitrici di erbe fatate. Osservando poi certe streghe presenti nella letteratura latina, possiamo rintracciare caratteristiche del tutto sovrapponibili all’immaginario stregonico successivo, medievale e moderno. Oltre ai saperi botanici e alla produzione di unguenti magici, è presente a livello simbolico il tema del volo, la presunta capacità di trasformarsi in animale o in uccello notturno, per non parlare delle molte tradizioni che legano queste figure al vampirismo o all’assassinio degli infanti. Nell’alto medioevo, erbarie e medichesse cominciarono ad essere coinvolte con sempre maggiore frequenza in accuse di eresia, in quanto terminali di pratiche di sapore pagano dal forte carattere rituale e magico. E dall’accusa di eresia a quella di stregoneria… il passo è stato brevissimo.
I monasteri sono stati luoghi straordinari di opportunità per le donne. Qui esse traevano profitto dalla prospettiva di una vita più lunga, più salutare e paradossalmente più libera, se pensiamo che fuori dal convento la “clausura” imposta dai ruoli di moglie e madre poteva rivelarsi assai più soffocante. Fra le mura monastiche invece imparavano a leggere e scrivere e coltivavano i semplici diventando esperte farmaciste. Una parte importante della storia della medicina femminile ha avuto incubazione proprio in questi luoghi, vere e proprie fucine sperimentali.
Mi affascina la figura di Ildegarda di Bingen, badessa e mistica medievale. Un personaggio di levatura eccezionale per i suoi tempi, e per nostra fortuna molto prolifico nella scrittura. La sua abbondante produzione comprende anche due volumi di argomento naturalistico e medico, attraverso i quali questa santa non solo offre un sapere che si rivela frutto di studio accurato, ma dispiega una vera e propria filosofia della salute, che ancora oggi risulta attualissima. Un approccio di tipo integrale, che ricerca lo stato di benessere attraverso un equilibrio armonico fra salute fisica, psichica e spirituale. Ma il contributo più sorprendente, a mio parere, sta nello spazio che nel XII secolo questa monaca dedicò alla salute delle donne, attraverso una attenta analisi delle sue complesse componenti. Rivolgendo attenzione agli stati malinconici, che sottraggono gioia alla vita, volge la sua attenzione perfino alla soddisfazione sessuale delle donne, che auspica in quanto elemento che concorre a contenere e ridurre malattie peculiarmente femminili.
Con “Medichesse” ho voluto esplorare il percorso della medicina femminile precedente all’accesso delle donne alle Università. Da quel momento, la storia ci ha proposto molti fulgidi esempi di donne appassionate, che hanno calcato le orme delle loro progenitrici dedicandosi con determinazione agli studi medici. Nominarne una sola sarebbe riduttivo, in quanto ogni secolo ha avuto le sue pioniere. Nell’Ottocento potremmo nominare Elizabeth Blackwell, prima donna a laurearsi in medicina e a esercitare la professione negli Stati Uniti, o Florence Nightingale, passata alla storia come “la signora con la lanterna”, che fondò la scienza infermieristica moderna. Nel Novecento, fra tutte, ricordiamo la nostra grande Rita Levi Montalcini, insignita nel 1986 del Premio Nobel per la Medicina, che fino agli ultimi giorni della sua longeva esistenza si è dedicata alla ricerca con intensa passione. Mi piace pensare che il riconoscimento internazionale conferito oggi a figure di questa levatura possa in qualche modo costituire una forma di riscatto per tutte le donne che nei secoli bui della caccia alle streghe sono state perseguitate e uccise a causa del loro sapere.
Spero di continuare a occuparmi di storia femminile. E perché no, raccontare di altre donne che si sono dedicate alla cura del mondo, con modalità più o meno convenzionali. Recuperare le voci femminili dal passato mi aiuta a mantenere vitale questa eredità preziosa. Ed è un lavoro di recupero che consente ancora grandi margini di esplorazione.
La maggior parte delle immagini che avete visto sono contenute all’interno del testo edito di Aboca edizioni, nel link potrete vedere gli altri libri scritti da Erika Maderna oppure potete seguire la sua pagina Facebook!
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