Nella mia ricerca sulle donne nella storia ho letto molti saggi e altrettanti romanzi, ho sfogliato pagine epiche, dove mi sono riempita gli occhi e la mente di gesta e di figure femminili dal grande carisma. Ho amato ogni singola lettura, perché mi ha fatto avvicinare a queste donne, inoltre mi ha dato modo di creare un enorme mosaico in cui collocarle, analizzare le analogie e le differenze, capire come potevano aver vissuto in un mondo per lo più patriarcale e riflettere sulle loro capacità di superare il tempo e l’oblio. Federica Garofalo, laureata in Archivistica e Biblioteconomia all’Università di Salerno e paleografa diplomata all’Archivio Apostolico Vaticano, scrive questa prima pubblicazione armata di questi intenti. Mulieres Salernitanae è un testo dalla forma originale, che mette insieme il meglio della narrativa con gli obiettivi alti della saggistica; è una raccolta di sei racconti, che si susseguono in ordine cronologico, e ogni racconto descrive l’animo di una medichessa della Scuola Medica Salernitana. Con un’ottima proprietà di linguaggio, l’autrice ci propone dei dialoghi sopraffini, eleganti e ben calibrati, che diventano lo strumento con cui il lettore e la lettrice entrano in contatto con le leggendarie Mulieres, donne sagge, istruite, ma anche fragili e profondamente umane.
Sebbene generalmente ci si aspetti un quadro storico raccontato attraverso descrizioni di ambienti, paesaggi ed eventi, il passato emerge dirompete nei dialoghi, senza alcun bisogno di avvalersi, tranne che in brevi stralci, di espedienti letterari più tradizionali. Mediante i dialoghi noi apprendiamo le vite dei personaggi, ne consociamo le personalità, accediamo alla tradizione medica medievale e restiamo ammaliati dal fascino di quel sapere. Per esperienza posso dire che non è facile rendere efficace tutto questo “solo” leggendo due persone che parlano, mentre nei racconti la resa è realistica e molto piacevole. In aggiunta a tutti questi pregi, lo stile e la costruzione della narrazione rievoca i testi teatrali dell’antichità classica, con citazioni che diventano palesi per chi mastica l’argomento, ma che, sono convinta, risuonano inconsciamente anche in chi non li conosce.
L’ispirazione per “Mulieres Salernitanae” mi è venuta principalmente dai miei studi universitari, nel corso dei quali ho scoperto un Medioevo diverso da quello che mi era stato raccontato prima: un Medioevo dinamico, pieno di trasformazioni, estremamente curioso e aperto alla conoscenza; e soprattutto un Medioevo in cui le donne erano molto più presenti di quanto un tempo si credeva, e quelle che giocavano un ruolo da protagoniste non erano affatto delle fortunate eccezioni. Così ho iniziato ad approfondire anzitutto il Medioevo della mia città, Salerno, che tra l’XI e il XIII secolo era considerata la città della medicina per eccellenza al livello europeo, e mi sono resa conto che, anche tra i Salernitani, non erano molti quelli che conoscevano la sua storia. E mi sono detta che questa era una storia che bisognava raccontare.
Sono partita da un articolo che avevo scritto nel 2016 per Salternum, la rivista del Gruppo Archeologico Salernitano, e in cui avevo dimostrato che le mediche documentate per la Salerno medievale non erano affatto delle eccezioni, ma appartenevano a un mondo in cui vedere una donna medico a tutti gli effetti era molto più comune di quanto oggi si creda; così ho vestito i panni dell’investigatore e sono risalita sulle tracce di queste mediche dalle poche fonti che avevo a disposizione, dall’erudito napoletano a cavallo tra il Cinque e il Seicento Scipione Mazzella allo storico dell’Ottocento Salvatore de Renzi, fino alla filologa contemporanea Monica Green, e che indicavano i loro nomi e poco più, Trotta (Trotula) a parte: Rebecca Guarna, Abella (in realtà forse Sabella) Castellomata, Mercuriade, Costanza Calenda. Dall’Archivio Angioino di Napoli arriva invece il nome di Venturella Consinata, abilitata all’esercizio della professione di chirurga a Salerno nel 1322.
La principale difficoltà che ho incontrato è che appunto le fonti che riguardano queste donne sono pochissime, e quasi tutte ricostruzioni di molto posteriori. Così ho deciso di concentrarmi proprio sui nomi delle mediche, sulla loro diffusione, e sui nomi delle loro famiglie per capire chi fossero e in quali periodi fossero vissute: ho scoperto che si tratta principalmente di donne della nobiltà salernitana, appartenenti a famiglie in cui la professione medica era molto radicata. In questo lavoro sono state fondamentali le fonti documentarie di prima mano come le pergamene custodite all’abbazia di Cava dei Tirreni o quelle degli archivi vescovili di Amalfi e Ravello, e il Manoscritto Pinto, una sorta di libro d’oro della nobiltà salernitana redatto tra Settecento e Ottocento, famoso per lo più per i suoi stemmi acquarellati, ma è una vera miniera d’oro che raccoglie anche documenti oggi perduti.
Anzitutto ho voluto descrivere un Medioevo diverso da quello che di solito si racconta, anche nei romanzi storici: un Medioevo mediterraneo e colorato, un Medioevo vivace e interessato alla cultura e alla scienza, e in cui le donne hanno uno spazio ben più ampio di quello che solitamente viene rappresentato. Uno spazio che, però, si restringe man mano che ci si avvicina al Rinascimento, nel momento in cui l’Università, maschile e maschilista, su influenza del diritto romano, si arroga il diritto di essere la sola e unica depositaria del sapere, compreso quello medico, e automaticamente chiude tutte le “vie femminili” alla cultura accettate fino a quel momento. È l’Università, il regno del diritto romano (diritto maschile, monarchico, in cui l’unico soggetto di diritti è il paterfamilias) a diffondere l’idea che la cultura e le professioni ad essa connesse, inclusa la medicina, debbano essere appannaggio degli uomini, una visione che solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si è cominciato a mettere in discussione, e che per molti aspetti ancora oggi facciamo fatica a scrollarci di dosso. Invece noi oggi possiamo avere ancora qualcosa da imparare da una cultura come quella cortese, un mondo che uomini e donne costruiscono insieme, e in cui le donne hanno un ruolo ben più importante della “musa ispiratrice” o della “donna-angelo”, come documentano le trovatrici provenzali o le donne che presiedono le “corti d’amore” e che io descrivo in uno degli episodi: la donna è la “domna”, la “signora”, il motore che suscita il canto del poeta o le grandi imprese del cavaliere, e soprattutto colei che lo educa allo spirito di cortesia, a usare la sua forza non per violarla o per tenerla prigioniera, ma per meritare il suo amore.
Sto lavorando a un altro libro, questa volta un romanzo unitario, che parla sempre di donne ma fa un passo indietro: nella Ercolano a cavallo dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. per scoprire questa cittadina di mare dell’età romana così poco considerata rispetto a Pompei, ma che avrebbe tanto da raccontare… Ma non voglio rovinarvi la sorpresa.
Federica Garofalo, paleografa, scrittrice e rievocatrice, è membro del gruppo “Gens Langobardorum” di Salerno. É diplomata all’Archivio Apostolico Vaticano e laureata in Archivistica e Biblioteconomia presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha esordito nel 2000 con un racconto pubblicato nell’antologia Racconti e Visioni (Edizioni Gutenberg Edizioni). Nel 2011 ha vinto il premio “Racconto nel Cassetto” con Il tamburo delle Sirene (Edizioni Cento Autori).
Sito: https://ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com/
Instagram: https://www.instagram.com/mulieres_salernitanae/
1 Comments
Grazie millissime!!