Lasciate da parte ogni pregiudizio, dimenticate ogni luogo comune, non approcciatevi alla lettura influenzat* dalle opinioni, niente di ciò che pensate corrisponde alla realtà: questo thriller scardina ogni idea o preconcetto su come deve essere scritto un romanzo di genere e lo fa su più fronti. Primo fra tutti sfata il mito che i thriller, un sottogenere preciso da non confondere con il giallo o il noir, debba essere appannaggio degli uomini, e che la “sensibilità femminile” non sia adatta a un stile feroce e graffiante, o che non sia capace di creare un mondo narrativo efferato e brutale se necessario. La donna è in grado di sondare l’oscurità della mente e l’abisso più profondo dell’animo umano esattamente come l’uomo, infatti Elisabetta Cametti ci riesce con grande maestria e realismo, senza esclusione di colpi.
Altro luogo comune che mette in discussione è il fatto che il thriller debba essere solo intrattenimento, avventura, suspense, brividi… non fraintendetemi, non c’è assolutamente niente di male nell’intrattenere, anzi! Ma se oltre a questo il testo porta a riflettere su certe tematiche contemporanee, oggetto di dibattito, allora possiamo certamente dire che è un valore aggiunto, che il romanzo acquisisce profondità e spessore, ed emoziona. La grande esperienza della Cametti nel raccontare una storia convincente ha fatto sì che temi come la crudeltà perpetrata sugli animali e la violenza sugli esseri umani fossero messi a confronto senza scadere nel banale, e che la vita vista attraverso il mondo dei social diventasse il centro dei conflitti, il luogo in cui si avverano le nostre paure e i nostri desideri.
“Se vi chiedessi di definire la paura con una sola parola, quale usereste?
Dolore. Nulla è più doloroso della paura, perché causa ferite che non guariscono. Si infiltra e scava a fondo. La sentiamo in ogni respiro, in ogni cellula, fine dentro al midollo. Non dorme mai. Penetra la mente, i pensieri. Vive con noi. Forse perché è l’unica arma che abbiamo per non abbassare la guardia, per stare allerta. Non so se ci salvi, di certo ci consuma.”
Uno scenario più che mai attuale dove l’intreccio tra più argomenti come empatia verso gli animali, violenza sulle donne, il ruolo delle influencer nella società e la brama di essere qualcuno a tutti i costi si amalgamo al perfezione creando un conturbante sfondo in cui i personaggi si muovono, amano, fuggono, commettono crimini o muoiono. Diversi sono i protagonisti e le protagoniste della storia, ognuno con i propri demoni da sconfiggere, e le proprie ambizioni da raggiungere, tutti hanno colpe da espiare e dolori da superare; le donne emergono con vigore tra le pagine, sono sfaccettate, rotonde, umane sotto molti aspetti e ti colpiscono per la loro forza, anche quando non sono un esempio di integrità. Pure gli uomini appaiono sotto diverse forme, e devo dire che il fascino del male mi ha sedotta e inorridita allo stesso tempo, destabilizzando ogni mia certezza.
“Apprezziamo gli origami proprio perché sono delicati. È la loro fragilità a regalarci bellezza, armonia, sensazioni piacevoli. Ci vogliono tempo e passione per crearne uno, ma una volta completato dura quanto un soffio… come le emozioni. Non lo trovate poetico?”
Logan la ascoltava ammirato: non stava vendendo un libro ma una filosofia di vita.
Innanzitutto per la complessità della storia, una serie di prospettive e verità nascoste si incontrano e scontrano tra loro in modo impeccabile; è un libro che si regge su più strati, sempre più cupi e intensi. Quando pensi di aver capito cosa accadrà succede qualcosa che ti spiazza e ti conquista. Inoltre, uno dei personaggi chiave, Ginevra, è ciò che più mi ha stupita in positivo: ha tutte le caratteristiche per essere una antieroina, incarna tutto quello che una buona parte della società critica, eppure…
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