Si prospetta un aprile spumeggiante e ricco di novità letterarie! Ho dovuto fare una selezione ma è stato davvero difficile scegliere, perché sono tante le uscite che ci accompagneranno in questa primavera frizzantina e imprevedibile. Vediamole insieme!
È quasi l’estate del 1945, i partigiani jugoslavi stanno avanzando nella Bassa Stiria e arrestano vari abitanti di origine tedesca. Tra questi anche la settantenne Pauline Drolc, nata Bast, che dalla cittadina di Tiiffer — in sloveno Lagko — viene portata al campo di internamento provvisorio del castello di Hrastovec. Poche settimane dopo il suo arrivo muore a causa delle condizioni disumane del campo, della fame e dello sfinimento, o forse a seguito di una delle malattie che vi proliferavano. La sua tomba non viene mai trovata. Pauline, che è la prozia di Martin Pollack, segue il destino di molti prima e dopo di lei, e non ne sapremmo nulla se non fosse per questo ennesimo gioiello di ricerca e reportage che l’autore austriaco ha scritto. Il suo libro dedicato al padre, l’SS Gerhard Bast, è diventato una delle pietre miliari della “letteratura documentaria” in lingua tedesca. Ora questo nuovo lavoro di Pollack si pone al fianco di quell’opera e ci conduce, con l’andamento di un poliziesco, alla scoperta della biografia di Pauline e del complesso intreccio di Storia, confini, nazionalismo e ideologie letali che fa da sfondo a questa vicenda emblematica.
Perché Ramesse II, pur non essendo tanto diverso dai suoi predecessori e dai suoi successori, è l’unico a cui è stato attribuito l’appellativo “il Grande” e a essere acclamato in tutti i tempi come “re dei re”? Wilkinson, adottando una prospettiva molto originale, ricostruisce l’insieme dei fattori che valsero al faraone la gloria e la memoria eterne privilegiando due aspetti: la creazione attenta e quasi ossessiva della sua immagine in una continua opera di propaganda e autopromozione, e il costante arricchimento della terra d’Egitto tramite le mirabili opere architettoniche di cui fu promotore come, ad esempio, quelle di Karnak e di Abu Simbel.
Toby Wilkinson, tra i più eminenti egittologi britannici, ha ricoperto molti ruoli accademici ed è stato premiato con il Thomas Mulvey Egyptology Prize.
Undici tappe di un viaggio tra i paesi dell’Europa centro-orientale dove da secoli si incontrano, e talora si scontrano, Est e Ovest Tra il 2004 e il 2013 undici paesi dell’Europa centro-orientale hanno aderito all’Unione europea. Sono paesi dalla storia sofferta e dai confini mutevoli che hanno vissuto per secoli all’ombra di un impero: a seconda del periodo, asburgico, ottomano, russo e poi sovietico, oppure tedesco e persino francese. Questo ne ha fatto un tormentato crocevia culturale con tutta la ricchezza ma anche i conflitti etnico-religiosi che ne conseguono e che oggi si trova a vivere, dopo la fine dell’Unione sovietica, un sentimento di risveglio nazionale quando non, in taluni casi, di tentazioni nazionalistiche. Sono paesi che hanno beneficiato dell’allargamento e della liberalizzazione economica, ma sono alle prese con vari problemi sociali e demografici e in alcuni di essi lo stato di diritto è dubbio. Sono paesi che hanno aderito alla Ue ma talora paiono più in sintonia con la Nato di cui tutti fanno ugualmente parte. Questa è la cornice in cui si svolge il viaggio di Beda Romano tra storie, luoghi, personaggi e monumenti dell’altra Europa.
Dalla genesi dell’impero Khmer alla popolazione comanche, dai ghetti dell’Italia medievale alla mappatura dei gulag, l’Atlante Storico Mondiale include tutte le epoche e le culture, in un’opera che si pone come testo di riferimento per studiosi, appassionati e coloro che desiderano comprendere la contemporaneità leggendo il corso del passato.
A tre anni dalla sua prima pubblicazione, torna l’Atlante Storico Mondiale in una nuova edizione ampliata, arricchita da 100 mappe inedite per integrare la già ricca componente informativa del volume originale. La storia dell’Umanità viene qui ripercorsa dai suoi albori fino alla più stretta attualità, con focus su realtà storico-geografiche non presenti nella precedente edizione e su tematiche che solo più di recente hanno creato grande dibattito, come la questione ambientale e climatica. Il volume, scritto da Christian Grataloup in collaborazione con un autorevole team di geografi, storici e cartografi, attinge a una delle riviste di divulgazione scientifica più prestigiose al mondo, la francese Histoire, elaborando le informazioni con un approccio rivoluzionario che si emancipa dai topoi della storiografia tradizionale e dalla sua visione eurocentrica.
Chi erano gli Spartani? Quale il loro stile di vita e i metodi pedagogici? Quale il ruolo delle donne nella città? Le regole e le pratiche spartane possono suscitare sia orrore sia fascino anche ai giorni nostri. Da una parte lo spietato sfruttamento degli Iloti, i riti di passaggio, gli addestramenti sfinenti, dall’altra un sistema educativo che includeva anche le ragazze. Questo libro ricostruisce una nuova storia avvincente e documentata degli Spartani e di Sparta, sfatando alcuni miti e rivelando gli aspetti salienti di questa antica società, le strutture civiche, le tradizioni, la vita quotidiana, i tratti arcaici brutali accanto a quelli inaspettatamente innovativi.
Romanzo d’esordio di Mary Roberts Rinehart, una delle più importanti e prolifiche autrici americane di mystery, La scala a chiocciola (1908) è ancora oggi, insieme a L’uomo nella cuccetta n. 10 (I bassotti n. 18), un best seller. La storia è ambientata in una villa di campagna del New England che una signora di mezza età, Rachel Innes, affitta per trascorrervi le vacanze estive insieme ai due nipoti, Gertrude e Halsey, e alla fida domestica Liddy. Ben presto, però, si accorge che nell’abitazione c’è qualcosa che non va. Strani rumori notturni, improvvise apparizioni alle finestre, misteriose visite, sembra quasi che la casa sia popolata di fantasmi. Ma i fantasmi, si sa, non sono assassini, e quando una notte Rachel scopre ai piedi della scala a chiocciola il cadavere di un giovane uomo ucciso con un colpo di pistola, si rende conto che il pericolo è ben più grave. Sarà solo dopo numerose altre morti e alcuni avvenimenti apparentemente inspiegabili che i vari misteri saranno risolti. Il libro è stato inserito sia nell’elenco dei 100 migliori mystery di tutti i tempi compilato dal critico inglese H. R. F. Keating, sia in quello delle pietre miliari del giallo stilato da Howard Haycraft ed Ellery Queen.
Il cacciatore di Caproni è un instancabile cercatore. Come nella Commedia dantesca, si aggira e si smarrisce in boschi insieme oscuri e fiabeschi: va a caccia di Dio e dell’io, fantasmi intercambiabili, prede sfuggenti e inafferrabili. È incapace di centrare il bersaglio perché il suo fucile è scarico, inservibile come un vecchio giocattolo, eppure ritenta la partita all’infinito. Il tema della caccia, che sin dai ricordi d’infanzia percorre sotterraneo tutta la vita di Caproni ricollegandosi in età adulta all’esperienza traumatica della guerra, si trasforma in questa raccolta pubblicata nel 1982 in una complessa allegoria esistenziale. Riproposto qui in una nuova edizione, per la prima volta corredato da un puntuale commento di Adele Dei,Il franco cacciatore è un testo compatto, in cui le poesie dialogano l’una con l’altra e la nota tragica si smorza nel controcanto dell’ironia e del paradosso. Attraverso una scrittura rarefatta e scarna, Caproni ci conduce insieme al suo viandante nei territori dell’ignoto e dell’inconoscibile, dove la ragione arretra ma dove, liberi dalle trappole dell’illusione e della speranza, ci coglie, come un dono inatteso, una «straziata allegria». Introduzione e commento di Adele Dei.
Matteo Righetto ci porta a Larzonèi in quel drammatico momento in cui le foreste e gli animali selvatici venivano drasticamente abbattuti, la Grande guerra falcidiava i soldati e l’identità ladina veniva lacerata. Se gli eventi sono cupi, lo stile poetico dell’autore, senza mai mistificare, tesse con incanto fenomeni paranormali, arcaiche tradizioni locali e un rapporto con piante e animali venato di meraviglia.
Piove da più di un mese a Larzonèi. Nel paesino ai piedi delle Dolomiti bellunesi gli anziani giurano di non aver mai visto cadere dal cielo tanta acqua. E sotto l’acqua si riuniscono il 2 novembre del 1913 per la messa del giorno dei morti. Ci sono tutte le famiglie della zona, anche i Thaler, con la loro unica figlia di sei anni, Katharina. D’improvviso e inspiegabilmente, nel mezzo della liturgia, la bimba sparisce nel nulla. Il paese intero la cerca tra i boschi per tutta la notte, invano. La piccola Tina riappare da sola il giorno dopo, proprio quando finalmente cessa la pioggia. Sta bene, ma non ricorda nulla di quel che le è accaduto, e tra i paesani cominciano a correre strane e malevole voci. Presto per tutti Tina diventa la strìa, la strega che è stata rapita dai morti, che ha conosciuto il diavolo. L’unico rifugio, il luogo dove trova pace e sicurezza, è il monte Pore con i suoi boschi, i torrenti e gli animali selvatici che lo rendono vivo. Tina Thaler è già una leggenda, una vecchia cacciatrice che vive sulla montagna, quando la incontriamo ne “La stanza delle mele”. In queste pagine ci addentriamo nella sua vita, a ritroso nel tempo, fino a scoprire i misteri che la avvolgono e le scelte coraggiose che la portano ad essere la guardiana della natura dolomitica, come uno spirito antico che cammina per prati e vette e che, come gli animali selvatici, si lascia vedere solo se è lei a deciderlo.
Centodiciassette opere, dall’età antica alle installazioni contemporanee, che ci restituiscono l’urgenza con cui l’arte non smette mai di parlarci. Ora d’arte come ora d’aria in una prigione, perché il tempo che viviamo ci imprigiona dietro le sbarre dell’attuale, dell’effimero, e così rischiamo di scordarci di quanto nel profondo ci rende umani. E non c’è spazio, e tempo, migliore dell’arte per riprendere fiato, per respirare a pieni polmoni e riscoprire ciò che negli abissi del cuore fa di noi quello che siamo. Dai vasi greci, che ci avvicinano a un mondo antico così lontano dalla retorica reazionaria della patria e degli illustri antenati, fino alle opere dei writer che rendono vivi i tristi muri spogli delle nostre città, passando attraverso la libertà inventiva di Donatello, la luce di Rembrandt che svela le oscenità del potere e la danza della vita tra le braccia della morte orchestrata da Canova, Tomaso Montanari ci guida in un altro meraviglioso percorso tra le opere di ogni tempo. E ci mostra che proprio qui si rivelano le luci e le ombre che da sempre fanno parte dell’animo umano. «L’Italia è, per fortuna, ancora quel Paese in cui la prima cosa che un’amica vuol farti vedere quando arrivi nella sua città, prima ancor di casa sua, è un monumento pubblico: che ama con tutto il cuore, e la cui proprietà comune non diminuisce, ma anzi esalta, il legame dei singoli cittadini che lo frequentano fin da bambini, e si addolorano quando si ammala e chiude. E se arrivi tardi, ormai quasi all’ora di cena, riesci comunque a vederlo, perché c’è una persona – un custode, un sacrestano, o forse meglio un casto amante – che ti aspetta, e che te ne parla come della cosa più cara che ha, di una persona di famiglia. E l’Italia è anche il Paese dove assai spesso questi oggetti amatissimi sono anche straordinarie opere d’arte: fieramente annidate nelle contrade più disperse, eppure degne di figurare con onore in qualsiasi capitale europea».
“Il problema della conoscenza si delinea agli occhi di Culianu, sempre più con il passare degli anni, come il problema della «mente», della sua oscura capacità di accesso a, tendenzialmente, infinite dimensioni spazio-temporali. I «viaggi dell’anima» – che questo libro indaga in una molteplicità di culture, ricercando elementi di unità – sono esattamente le tracce di questo periplo nella mente e nell’immaginazione umana, la quale produce forme storiche ricorrenti ma anche, sorprendentemente e inspiegabilmente, inattese (e sono quei casi dove Culianu sembra forzare una forma dentro l’altra, pur di conservare una costante nell’inesplicabile). La mente diviene l’oscuro territorio di una ascesi e di uno sconfinamento oltre le ristrette frontiere del reale; i confini di quell’unica dimensione a cui il reale viene ridotto dall’uniformità della percezione comune, a cui Culianu contrappone l’aristotelico «senso interno», prodromo di quella che lui chiamerà la «mente». Certamente, questo processo, questo cammino dall’oscurità della storia alla unitarietà di princìpi semplici a fondamento di tutto, che Culianu intraprende affidandosi ai saperi più avanzati, compresi quelli tecno-scientifici della contemporaneità, ricorda il cammino degli gnostici capaci di liberare la scintilla di luce contenuta nella prigione della materia sospingendola, attraverso una pluralità di mondi, verso l’oltre, l’ignoto o l’indefinibile dio di luce, la Mente perfetta, l’anarchos, senza cominciamento né causa, che parla, con voce di tuono, in uno dei più enigmatici e potenti manoscritti di Nag Hammadi. E, come spesso accade leggendo l’opera di Culianu, si ha la sensazione di una circolarità dei pensieri che mai davvero scompaiono ma ritornano sotto sempre nuove forme, aggiungendo sfumature mai prima percepite.” (Dallo scritto di Federico Ferrari)
Intrecciando la parabola dirompente dei Rizzoli con le loro passioni private, sullo sfondo di un’Italia che attraversa due guerre e profondi cambiamenti sociali, Chiara Bianchi ricostruisce il complesso mosaico di una dinastia che ha incarnato le laceranti contraddizioni di un secolo e tutto il suo fascino.
Milano, fine Ottocento. Quando varca per la prima volta la soglia dell’orfanotrofio, Angelo Rizzoli ha otto anni, indossa un maglione più grande di un paio di misure e delle scarpe da adulto che lo fanno camminare come una papera. Il funzionario che lo registra all’ingresso scrive sulla scheda d’ammissione: ‘Una vita di stenti’. In quel piccolo mondo pieno di regole – e di punizioni – Angelo è felice: povero tra i poveri, impara che per fare strada bisogna compiere sacrifici, correre dei rischi e, soprattutto, credere in se stessi. Prende la licenza elementare e viene impiegato nella bottega di un orafo, ma quel lavoro non fa per lui, come non fa per lui stare sotto un padrone. Poi, quasi per caso, si propone a una tipografia. Inebriato dall’odore di inchiostro, stregato da tutti quei caratteri ordinati nei cassetti dei compositori, trova il suo mestiere. E diventa ogni giorno più bravo, ogni giorno più determinato. Qualche decennio dopo, Angelo è su un volo diretto a Los Angeles. Stringe tra le labbra una sigaretta finta. È il re delle riviste, dei libri, del cinema. Parla alla pari con il Presidente del Consiglio. È circondato da attrici e scrittori, da arrivisti e da nemici. Ha fatto di Ischia un piccolo paradiso. È il patriarca di una famiglia turbolenta, di cui tiene le fila grazie a sua moglie Anna. Il figlio Andrea è diventato il primo presidente di una squadra di calcio ad alzare la Coppa dei Campioni. I suoi nipoti sono gli eredi di un impero che sembra indistruttibile.
Questo libro, pubblicato in Francia nel 1985, raccoglie scritti di Perec comparsi su riviste tra il 1976 e il 1982, che trattano della difficile arte di classificare, catalogare, ordinare le cose. Sono riflessioni ed esempi sempre curiosi, sorprendenti, a volte geniali, come le 81 ricette di cucina ottenute con semplice metodo combinatorio, tre ingredienti per quattro operazioni, il che sembra deridere il tema culinario oggi tanto di moda. E poi l’arte di disporre i libri nella libreria di casa; il catalogo dei luoghi ideali per viverci; il metodo automatico per fabbricare aforismi impeccabili di estrema saggezza; i tanti tentativi di dare ordine a ciò che c’è al mondo, e così via. Gli elenchi sono una specialità di Perec e riescono a dare piacere, a volte a far sorridere.
Sin dalla notte dei tempi si ha testimonianza di misteriosi esseri di piccola statura, avvolti da un’aura di sacralità, abitanti del sottosuolo, abilissimi nelle arti minerarie e metallurgiche, fino a giungere ai fabbri pigmei africani che conferiscono il potere ai re. Il filo che lega nani e metallurgia è antichissimo e risale ai mitici fabbri primordiali, che alcuni autori identificano negli Atlantidei; in Frigia e in Grecia appaiono i Dattili, i Cabiri, i Telchini. Nell’antico Egitto sono esseri altamente privilegiati, e nascono i culti di divinità nane come Ptah Pateco e Bès. La prima parte dell’opera illustra la tradizione di queste figure mitiche, in stretta relazione con le origini dell’alchimia, derivante dai Misteri di questi “teurghi del Fuoco sotterraneo”. Tratta altresì delle differenze tra nani, gnomi, folletti, elfi; della creazione di spiriti elementari quali gli homunculi philosophici di Paracelso; degli spiriti delle montagne, dei demoni sotterranei e della generazione dei minerali. La seconda parte verte sugli altrettanto misteriosi “nani veneziani”, i Venediger o Wahlen, abilissimi cercatori di minerali metalliferi provenienti dalla Repubblica di Venezia, operanti dal XIV al XVIII secolo nelle miniere europee a caccia di metalli preziosi e tesori nascosti. Utilizzavano singolari strumenti magico-alchimici quali verghe, bacchette, specchi.
Questi racconti favolosi esprimono tutta la forza immaginativa di un popolo che ha resistito fieramente all’impatto con la modernità, per trasportare il lettore dall’altra parte del mondo.
Avviata con un primo volume sul Giappone (20.000 copie vendute), la collana dei Racconti dei saggi conta oggi oltre venti titoli. Volta a raccogliere la tradizione orale delle gesta dei saggi, è anche un’iniziazione alle varie spiritualità del mondo di cui gli autori sono sempre specialisti. Preziosi volumi di formato tascabile, riccamente illustrati. Giunti in Nuova Zelanda nel XIII secolo e discendenti di antiche popolazioni polinesiane, i Maori hanno sviluppato una cultura intessuta di miti e leggende, ricca come i tatuaggi di cui tradizionalmente ricoprono i loro corpi. Gli amanti primordiali, l’origine della danza Haka, l’amore impossibile di Hinemoa, le eroiche imprese di Maui…
Una raccolta eterogenea di documenti rari o inediti, molti dei quali provenienti dagli archivi della Fondazione J. Evola, che integrano ciò che si sa della sua “biografia spirituale”: numerosi carteggi con personalità del Novecento, interviste dimenticate, saggi, lettere dedicate all’arte, bozzetti pubblicati per la prima volta, voci “magiche” bocciate dall’Enciclopedia Treccani, il “manifesto ideale” della rubrica Diorama Filosofico, due capitoli di Rivolta contro il mondo moderno espunti dall’autore nel corso degli anni, un racconto erotico, forse destinato a Playmen, e molto altro. Saggio introduttivo di Joscelyn Godwin.
Un affresco vivace e profondo delle inquietudini del secolo XVI; un’indagine raffinata e acuta che non dimentica mai la tensione dell’azione; un ritratto intenso e originale di un filosofo che, come si scopre di pari passo allo scioglimento del delitto, ha ancora molte cose da dire ai cittadini del Terzo millennio.
La filosofia — secondo un luogo comune— non ha legami con la vita reale, non riesce ad afferrare la complessità dell’esperienza. È inutile, e spesso non la si capisce. Tutto il contrario ci dice questo romanzo che ci mostra come la logica e la capacità deduttiva di un filosofo possano calarsi nella realtà e risolvere un intricato mistero. Parigi. Quartiere latino. Una notte del glaciale dicembre 1582 il libraio Nicolas Heucqueville è selvaggiamente ucciso con padre, sorella, moglie e figli. Sul luogo della strage un corvo morto e delle iscrizioni in italiano sono i segni misteriosi lasciati dall’assassino. Il commissario Dagron chiede a Giordano Bruno, a Parigi per ragioni di studio, di tradurre le parole tracciate col sangue, e quest’ultimo non si dà pace fin quando non ha risolto l’enigma in concorrenza amicale con il poliziotto e con l’aiuto del fedele Hennequin, che trascrive la cronaca del caso. L’indagine è tanto poliziesca quanto filosofica perché il maestro e l’allievo, uniti da un’esigenza di verità al di fuori degli schemi imposti dall’ortodossia, vi trovano un inaspettato campo di applicazione per le ricerche astratte di Giordano Bruno che, provocato dal giovane su questioni etiche, logiche o metafisiche cerca i responsabili del delitto. Il maestro usagli strumenti logici che per tanti anni hanno alimentato le sue ricerche e manda Hennequin a verificare sul terreno le ipotesi nate dalle sue deduzioni.
estimonianza unica di un Tiziano Terzani reporter, giovane ed entusiasta, interessato ai «fatti», che con stupore si avvicina a ogni dettaglio e crede ancora sia possibile influenzare la Storia, questo testo ricostruisce in presa diretta l’olocausto che fece della Cambogia il regno dell’orrore. I suoi reportage ci raccontano non soltanto la storia che trasformò un intero Paese ma anche l’uomo che la seguì per documentarla. Da qui infatti prese corpo la svolta che lo porterà ad abbandonare ogni fiducia nell’ideologia, in cui pure aveva creduto, per iniziare un nuovo cammino di ricerca. Nella Cambogia – unico Paese dell’Asia che aveva continuato a visitare per 25 anni – Terzani vedeva rappresentata nella sua essenza la tragedia del pianeta intero. Fantasmi è dunque un testo imprescindibile per capire le ragioni che lo spinsero a voltare le spalle al mondo e a cambiare direzione. «I cambogiani lo sanno da secoli: la vita è una ruota e la Storia non è progresso», ricordava già allora, prima che altre guerre di invasione e altre lotte fratricide conferissero un’eco per sempre attuale alle sue parole. «Tornammo da quel viaggio che eravamo stravolti, anche dalla apparente impossibilità che questa civiltà potesse mai rimettersi in piedi. Come poteva? E lì ebbi quest’altra bella visione, che mi piaceva: che la vita non si ferma». Con uno scritto di Angela Terzani Staude.
Scriveva Primo Levi che niente è più necessario della conoscenza per evitare il ripetersi della tragedia, soprattutto se essa prende forma lentamente nella progressiva seduzione delle masse. A un secolo di distanza da quando Adolf Hitler dettava il suo manifesto politico in una cella di Landsberg am Lech, quelle pagine sono diventate uno dei simboli del male assoluto, e come tali sottoposte all’anatema laico che ne ha fatto un libro proibito. Ma questo cono d’ombra, figlio di una freudiana rimozione, ha contribuito ad accrescerne la mitologia fino a quando, nel 2016, la Germania ha deciso di consentirne nuovamente la distribuzione in libreria proprio per smontarne la leggenda e percepirne gli echi nel presente, con la consapevolezza che niente può distruggere l’orrore più del senso critico, e dunque la riconversione del mostro nei perimetri della realtà. Sì, perché Mein Kampf è in fondo solo l’autobiografia di un trentacinquenne delirante alla ricerca di capri espiatori e di sfoghi esistenziali, con l’aggravante però di una spiccata propensione all’empatia, agli albori di un Novecento che nel carisma avrebbe eletto la propria apoteosi. Da questa formula, ripetibile e tuttora emulata a ogni latitudine, discende l’urgenza di confrontarci ora più che mai con un testo mai morto, capace di riproporsi sotto marchi e colori diversi soprattutto in un’epoca in cui la propaganda si è ramificata online, e ci raggiunge ormai capillarmente. Dopo molti anni di ricerca e di scrittura, notomizzando parola per parola del testo originario, con l’innesto di centinaia di discorsi e dichiarazioni dello stesso Hitler, Stefano Massini ci consegna la sua biopsia del testo maledetto, un feroce distillato in cui la religione nazista di rabbia e paura, il culto dell’io e l’esaltazione della massa ci appaiono in tutta la loro forza di potentissimo déjà-vu.
Due donne diverse in tutto. Specie nel modo di amare la carta, l’inchiostro, i libri. Ma, a unirle, la volontà di salvare dalla rovina un’antica libreria nel cuore di Tokyo. «Era proprio nei dettagli che si faceva la differenza in quel mestiere. Non si poteva evitare quel contatto fisico, e giornaliero, con i libri, altrimenti tutti quei volumi rischiavano di appassire».
Riko Nishioka, vicedirettrice di una libreria nel quartiere di Kichijoji, da qualche tempo ha difficoltà a gestire Aki Obata, la sua giovane subordinata. Al centro dei loro battibecchi, due caratteri opposti: testarda, stacanovista e invidiata dai colleghi l’una; spensierata, ottimista e sicura di sé l’altra. Il loro scontro causerà una frattura in apparenza insanabile. Ma tra discussioni sui generi letterari, scaffali da allestire e presentazioni con gli autori da organizzare, Riko e Aki dovranno imparare ad ascoltarsi per sventare l’improvviso pericolo di fallimento della libreria.
Con la sua capacità fuori dal comune di rendere l’essenza di personaggi storici attraverso la lente romanzesca, Francesca Diotallevi ci incanta e ci ipnotizza, ponendoci interrogativi di fronte ai quali anche l’anima più razionale vacilla. Come solo chi padroneggia la magia della scrittura sa fare.
È la notte di Capodanno del 1960 e, in un lussuoso appartamento affacciato sul parco del Valentino, un gruppo di persone siede attorno a un tavolo. L’aria è quasi elettrica e nessuno osa emettere un fiato. Aspettano l’inizio di quelli che il padrone di casa chiama «esperimenti» ma che per chi è lì hanno un valore inestimabile, metafisico, soprannaturale. Gustavo Rol ha l’eleganza garbata e poco esibita di chi cammina con naturalezza in qualunque stanza del mondo, e il pubblico pende dalle sue labbra. Solo un uomo lo guarda con sospetto, è sicuro che ci sia un trucco e vuole svelarlo. Nino Giacosa è un uomo rotto, in fuga: dai debiti di gioco, dai fantasmi della disfatta di El Alamein, da Miriam, la donna che ha amato. Da sé stesso. Dopo tanti sogni infranti, tuttavia, ha trovato qualcosa che può riempire il vuoto della sua esistenza: una storia. La storia che sta scrivendo giorno e notte nella squallida stanza di una pensione è quella di un grande imbroglio, celato dalle mani sapienti di un illusionista. Ed è con questo atteggiamento scettico, l’occhio attento a ogni dettaglio, che Nino inizia a partecipare alle serate di Rol. Ma tra i due uomini, all’apparenza così diversi, si crea presto una complicità imprevista. E nelle passeggiate attraverso una Torino gelida e impenetrabile, Rol racconta a Nino la propria vita, il «dono» che ha scoperto grazie a un polacco conosciuto a Marsiglia, gli studi e lo scoramento all’idea di essere ammirato ma mai compreso.
Un affascinante affresco storico che mostra il lato oscuro della rivoluzione industriale.
Due morti inspiegabili. Una seteria in cui niente è come sembra. Una donna alla ricerca della verità.
Due morti apparentemente inspiegabili. Una seteria in cui niente è come sembra. Una donna alla ricerca della verità. Una figura incappucciata esce dalla casa in cui una donna sta esalando l’ultimo respiro. Quindi si allontana nella notte, portando con sé due bambini appena nati… Ventun anni dopo. Le sirene delle seterie scandiscono la vita dell’Ain, una delle tante regioni che hanno cambiato volto dopo la Rivoluzione industriale. Eppure, fuori dei ritmi regimentati della fabbrica – che grazie alle nuove leggi sul lavoro garantisce salari migliori e orari più umani –, ci sono ancora centinaia di donne che vengono sfruttate nelle soffitte delle case, dove si fila sino a tarda ora alla luce incerta di una candela. È proprio per difendere i diritti di queste giovani invisibili se Claude Tardy è diventata ispettrice del lavoro. Una professione nuova e ancora tutta maschile, al punto che, per poterla svolgere, spesso Claude è costretta a indossare vestiti da uomo. Come la fredda sera di dicembre del 1893 in cui viene chiamata a indagare sulla morte sospetta di un operaio, trovato impiccato agli stessi fili metallici su cui si spezzava la schiena durante il giorno. E la faccenda si complica tre mesi dopo, quando dalle acque di un lago emerge il cadavere di un altro operaio. Due morti che non avrebbero nulla in comune, se non fosse che le vittime si somigliano come gocce d’acqua e sembrano in qualche modo legate a un convitto di religiose, dove le giovani operaie delle seterie sono ospitate fino al giorno del matrimonio. Ed è qui che la strada di Claude incrocia quella di suor Placide, che da mesi aspetta notizie di una ragazza scomparsa all’improvviso. A poco a poco, le due donne si rendono conto che le loro ricerche sono collegate e che solo unendo le forze potranno fare luce su una brutale realtà sommersa che coinvolge uomini potenti e pericolosi. Una realtà che in troppi hanno sempre finto di non vedere, per paura o per avidità… Ci sono fili che legano passato e presente, verità che sfuggono come seta.
Nel 1494, solo due anni dopo la ‘scoperta dell’America’, a Tordesillas, una piccola località della Castiglia, veniva firmato un trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due e inventava l’Occidente come spazio, comunità e cultura. Mai nessuno si sarebbe potuto aspettare che una semplice firma avesse conseguenze così gigantesche e durature.
Questa è la storia di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all’inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l’oceano e così facendo trasformarono l’idea che esse avevano dell’Ovest: quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile. È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l’ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell’Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi. In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un’idea di appartenenza. Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell’Atlantico: quell’Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe.
“Spiegare come lavora uno storico e lottare per la liberazione dai nazisti sono due compiti, nella loro diversità, misteriosamente affini.” In questa frase di Massimo Mastrogregori, che cura la nuova edizione del capolavoro incompiuto di Marc Bloch, c’è la sintesi di ciò che rende Apologia della storia una lettura imprescindibile non solo e non tanto per gli specialisti dell’indagine storiografica, ma per tutti coloro che si interroghino sul presente e sulla condotta da tenere nella propria esistenza di cittadini attivi e coscienti. Scritto in circostanze drammatiche, mentre l’autore combatteva tra le file della Resistenza francese contro l’occupazione tedesca, questo testo distilla tutta l’urgenza che egli sperimentò in quei mesi. Facendo leva sulla propria fede nel carattere fondativo della storia come pratica capace di costruire e consolidare legami sociali, Bloch cerca in queste pagine di trasmettere il suo messaggio al pubblico più ampio possibile, a partire dal ragazzino che, in apertura del libro, chiede: “Papà, allora spiegami a che serve la storia”. Apologia della storia esce qui in una edizione completamente rivista, che ricostruisce i capitoli mancanti, individuati in base al piano dell’opera redatto dall’autore e agli appunti preliminari, attraverso i materiali – editi e inediti – che aveva dedicato ai singoli argomenti. Un lavoro minuzioso che punta finalmente a offrire il testo nella forma più vicina a quella progettata da Bloch.
Lungi dal provare a spiegarla, le pagine che seguono raccolgono cartoline da questa nuova Sicilia. Sono immagini sfuocate, perché il soggetto è in grande movimento. Perché anche la Sicilia si muove e, sì, cambia.
Guardando una cartina, un’isola ci dà l’illusione di essere un piccolo mondo a sé. Con i suoi confini ben delineati sembra contenere una società impermeabile al passare del tempo e delle stagioni, più immediata da decifrare perché al riparo dalla mutevole complessità del mondo. Ma si tratta di una mistificazione, a maggior ragione se – come la Sicilia – vive al riparo di uno degli immaginari più prepotenti e inscalfibili che un luogo tanto piccolo sia mai riuscito a creare. Dietro l’isola «costruita e ricostruita dai libri, dai film, dai quadri, dalla fotografia in bianco e nero» oggi ce n’è una nuova, nascosta, ma non per questo meno reale. Quella urbana e metropolitana, quella degli sbarchi, quella del vino e della frutta tropicale. Una Sicilia a volte invisibile come i veleni che il secondo polo petrolchimico d’Europa scarica nel mare e nell’aria. Come i migranti in arrivo a Lampedusa, tenuti a distanza dalle traiettorie dei turisti e dei locali. Come i flussi di popolazione in uscita che le danno il triste primato tra le regioni italiane per emigrazione. Un luogo dove gli estremi convivono, come i quartieri del centro a Palermo, dove vibra la capitale della cultura e vegeta la città invisibile del crack. La Sicilia dove i cambiamenti climatici trasformano il paesaggio agricolo sempre più a rischio di allagamenti e desertificazione, e qualcuno ne approfitta per sostituire la vite con il caffè e l’avocado.
«Solo un dio ci può salvare». O almeno così Martin Heidegger sosteneva nella sua ultima intervista rilasciata alla stampa. In questo libro Peter Sloterdijk risponde in modo ironico che «non siamo stati ancora salvati» e che non lo saremo. L’essere umano non è altro che quel particolare animale che crea forme di addomesticamento reciproco, chiamate “culture”, rispetto alle quali non c’è alcun “fuori” a cui chiedere una qualche forma di salvezza. Nessun dio può infrangere il nostro destino di animali sapiens. Questa è la tesi feroce e disincantata che l’autore sostiene nel più provocatorio dei saggi contenuti nel volume, “Regole per il parco umano”. Clonazione, scoperte geografiche e coscienza delle macchine, umanismo e pessimismo, mostri e metafisica sono solo alcuni dei temi che attraversano i dieci saggi che compongono questo straordinario affresco di filosofia e storia della cultura contemporanea.
Marta McDowell, autrice del best seller Emily Dickinson e i suoi giardini, ci porta alla scoperta della vita di Frances Hodgson Burnett, scrittrice di culto per generazioni di lettrici e lettori grazie al suo romanzo edito nel 1910 Il giardino segreto
Attraverso fotografie d’epoca, illustrazioni, preziosi documenti e brani letterari, McDowell traccia il ritratto di una grande artista e, nel raccontare le piante e i luoghi che l’hanno ispirata per la composizione del suo libro, ricostruisce la storia di un classico senza tempo. « Lo splendido libro di McDowell ci accompagna in un esclusivo tour dietro le quinte di un mondo fiorito che finora era esistito solo nei nostri sogni ». Keri Witt, pronipote di Frances Hodgson Burnett
Radcliffe Prep è la terza scuola più infestata del Paese, dove la scomparsa di uno studente non è cosa rara e nessuno osa restare in biblioteca dopo il tramonto. Este Logano si iscrive con la speranza di ritrovare il padre morto. Non letteralmente, ovvio, ma frequentare la sua stessa scuola sembra essere la migliore speranza di capire chi fosse. Qui incontra Mateo, che, a quanto pare, è un fantasma a tutti gli effetti. E per di più uno di quelli fastidiosi e irritanti da morire. Quando coinvolge Este nel furto di un libro raro dalla torre segreta della biblioteca per poi sparire, lei dovrà rintracciarlo per non essere espulsa dalla Radcliffe prima di aver trovato le risposte che stava cercando. Ma seguire le orme del padre potrebbe rivelarsi più pericoloso di quanto avesse previsto. Mentre indaga sui passaggi segreti, i tunnel nascosti e le sale infestate della biblioteca, scopre che le sparizioni degli studenti non sono solo una leggenda. E la prossima vittima potrebbe essere lei stessa.
Acclamato dalla critica come uno dei capolavori del premio Nobel spagnolo Camilo José Cela, questo breve romanzo ha per protagonista un gruppo di uomini e di donne che si ritrovano reclusi, distanti dal mondo, nel padiglione di un sanatorio per malati di tubercolosi.
Alla fatica e al dolore fisico dei personaggi si somma la malinconia del distacco, l’allontanamento da una società che, prima di comprenderne le difficoltà, li giudica per il pericolo che rappresentano. La malattia non è, perciò, solamente un fardello, ma a tratti una colpa, da scontare in solitudine o, al massimo, tra correi. Le loro menti sono attraversate dagli stessi pensieri e una speranza comune li anima, quella della guarigione. Così, a poco a poco, tra i degenti si consolidano le relazioni, scandite da antipatie e ossessioni, chimica e attrazione. Ogni personaggio racconta il suo punto di vista e dal padiglione, tra lettere e diari, emerge una nar-razione corale, un punto di vista universale sulla condizione umana. Quando il corpo è minato dalla malattia, l’uomo diventa più spontaneo, più semplice. Insomma, corrisponde meglio a se stesso, e finalmente si rivela umano. Ma, prima che si inizi a parlarne al passato, esiste una soluzione per comprendere appieno la vita?
La storiografia antica ha dato dell’imperatore Commodo un giudizio decisamente negativo, come è avvenuto per Caligola e Nerone, mostrandolo come un giovane non solo inesperto ma anche inetto, del tutto inconsapevole della grande responsabilità del suo ruolo a cui preferiva il lusso, i vizi di una vita smodata e la sua sfrenata passione per i giochi gladiatori. Commodo, ancora troppo giovane quando divenne imperatore, non possedeva certo l’auctoritas del padre Marco Aurelio e le qualità di leader politico di altri imperatori della dinastia degli Antonini, ma non era però così debole di carattere e indolente come gli autori antichi tendono a rappresentarlo. Ad ogni modo, la fine del suo principato segnò l’inizio del declino dell’Impero romano, immerso in una crisi che nei decenni a venire diverrà sempre più irreversibile. Livio Zerbini insegna Storia romana all’Università di Ferrara, dove dirige il Laboratorio di studi e ricerche sulle antiche province danubiane (LAD); è direttore delle Missioni archeologiche italiane in Georgia e Romania.
Da tempo attesa, finalmente disponibile in italiano la prima traduzione completa dei codici di Nag Hammadi, i manoscritti vergati in copto tra IV e V secolo e ritrovati in Egitto nell’inverno 1945-46. I codici contengono circa cinquanta trattati tra antichi vangeli apocrifi, scritti gnostici, testi ermetici e persino un frammento della Repubblica di Platone, le cui traduzioni sono qui accompagnate da aggiornate introduzioni e da un agile apparato di note.
Andrea Annese insegna Storia del cristianesimo all’Università di Bologna. Con Carocci editore ha pubblicato Il Vangelo di Tommaso. Introduzione storico-critica (2019).
Francesco Berno insegna Storia del cristianesimo alla Sapienza Università di Roma. Con Carocci editore ha pubblicato L’Apocrifo di Giovanni. Introduzione storico-critica (2019) e L’Atto di Pietro e le origini della comunità cristiana di Roma (2022).
Daniele Tripaldi insegna Letteratura cristiana antica all’Università di Bologna. Per Carocci editore ha curato l’introduzione, la traduzione e il commento dell’Apocalisse di Giovanni (2012).
l secondo volume della trasposizione a fumetti dell’omonimo romanzo di Neil Gaiman con i disegni della leggenda dei fumetti, vincitore dell’Eisner Award, P. Craig Russell.
Ideale per: chi ama le leggende del nord Europa, chi ama Neil Gaiman, chi ama P. Craig Russell, chi ama la mitologia e i racconti mitologici.
Rivoltelle, bombe a mano, manganelli e olio di ricino: questo era l’armamentario delle ‘squadracce’ fasciste che cento anni fa imperversavano per l’Italia, lasciando una scia di morte e di devastazione. Una violenza che sconvolse la penisola e ne paralizzò ogni reazione. «Un altro libro sul fascismo? Sì, ma è un libro diverso da tutti gli altri. Perché lo racconta da un punto di vista spesso tralasciato dalla storiografia: quello delle microstorie. Che in Gli anni neri. Ascesa e caduta del fascismo rivelano quello che secondo l’autore, lo storico britannico John Foot, è il tratto costitutivo essenziale del fascismo: la violenza.» – Paolo Morando, Domani
Per molto tempo gli storici si sono interrogati sul consenso al regime fascista e hanno dedicato poca attenzione all’uso della violenza da parte dei fascisti e al ruolo anche simbolico che questo ha avuto. John Foot, nel solco della migliore divulgazione inglese, ne ricostruisce la storia a partire da singole storie individuali, spesso dimenticate.
A sette secoli dalla morte di Marco Polo, il suo nome e l’opera che ha scritto con Rustichello da Pisa, il Devisement dou monde, evocano ancora i miti del viaggio e del ritorno, dell’Asia misteriosa e di Venezia; un mondo di merci, ricchezze, popoli, costumi inattesi. Dopo le grandi ricerche otto-novecentesche di impianto storico-positivista, gli studi sul viaggiatore e sul libro hanno ripreso slancio nell’ultimo ventennio. In diciotto saggi redatti dai maggiori specialisti della materia, il volume offre una guida sullo stato delle ricerche e soprattutto invita a leggere, o rileggere, un classico della letteratura del Medioevo volgare.
Eugenio Burgio insegna Filologia romanza all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Samuela Simion è ricercatrice all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Teatro classico in scena. Serie diretta da Andrea Capra, Federico Condello, Maddalena Giovannelli e Giuseppe Zanetto. Prima che il canone le consacrasse come classici della letteratura universale, le tragedie e le commedie antiche erano soprattutto copioni teatrali recitati da attori davanti a un pubblico.
Questa serie ci invita a riscoprirne la dimensione scenica, presentando nuove traduzioni per il teatro di oggi, attente alla destinazione orale e alle esigenze dello spettatore, del palco e degli attori. Di agile consultazione e rivolti a chiunque si interessi di teatro, i volumi sono arricchiti da materiali utili a comprendere la natura teatrale dell’opera: un’introduzione alla trama e alle principali tematiche; una rassegna delle più importanti rappresentazioni nella storia moderna e contemporanea; un corredo di note di regia, per mettere in luce le dinamiche sceniche che accompagnano il testo. Anna Beltrametti insegna Drammaturgia classica e Storia del teatro greco e latino all’Università di Pavia. Per Carocci ha pubblicato, fra l’altro, La letteratura greca (2005).
Maddalena Giovannelli insegna Storia del teatro e Comunicazione teatrale all’Università della Svizzera italiana. Per Carocci ha pubblicato Aristofane nostro contemporaneo (2018).
Ecco a voi un nuovo romanzo con protagonista Anita, sempre più coraggiosa e spericolata. L’amore la travolge, l’amicizia la commuove, le responsabilità la fanno crescere e il destino la mette alla prova come non mai. Come una vera eroina della letteratura.
Torino, 1935. I fari della Balilla Spider Sport fendono il buio della notte. Il fatto che al volante ci sia una donna potrebbe sembrare strano, ma non se si tratta di Anita. Sono mesi, infatti, che fa cose poco consone, per non dire disdicevoli, sicuramente proibite. Come rimandare il matrimonio con Corrado solo per il desiderio di lavorare. Oppure scrivere, sotto lo pseudonimo di J.D. Smith, racconti gialli ispirati a fatti di cronaca per portare un po’ di giustizia dove ormai non ne esiste più. Un segreto che condivide con Sebastiano Satta Ascona, direttore della rivista «Saturnalia». E a essere sinceri scrivere non è l’unica cosa proibita che fanno insieme… Ma ora qualcosa è cambiato, ed è il motivo per cui Anita si trova a bordo di una macchina. Qualcuno ha iniziato a seguirli, e con le spie meglio non scherzare, di questi tempi. Meglio fare quello che chiedono. Anche se non è giusto. Anche se le richieste minacciano di stravolgere l’esistenza pacifica degli amici più stretti: la saggia Clara, l’irriverente Candida, la dolce Diana, l’affascinante Julian, il ribelle Rodolfo e, ovviamente, Sebastiano. Il suo Sebastiano. Perché vivono in anni così difficili? Perché non possono fidarsi di nessuno? Perché non smettono di attirare attenzioni indesiderate? Anita non ha le risposte, ma i protagonisti delle storie gialle che ha imparato ad amare la esorterebbero a non avere paura. Perché il pericolo è il sale della vita. Eppure, Anita non è abituata a fuggire. Non è abituata a mentire. All’improvviso, si trova in uno dei racconti di J.D. Smith, e non ha la minima idea di come potrà andare a finire.
Incubi affollano terre desolate. Sogni famelici dilaniano le carni. Una crepa oscura che non conosce salvezza.
L’anelito ancestrale del viaggio attrae un esploratore nella solitudine artica, ma chi avrebbe potuto presagire le minacce celate in quegli sterminati territori di ghiaccio? Un’antica villa che ha conosciuto solo la maledizione si nutre delle energie di coloro che la abitano. L’oblio si annida tre le pareti affrescate…Nella cornice dell’Inghilterra vittoriana, Mary Elizabeth Braddon dà voce all’angoscia e al mistero consentendo all’orrore di dilagare nell’anima. Desolazioni glaciali, donne vampiro e isole remote popolate di defunti: sette racconti per abbandonarsi alle sinistre suggestioni del maligno. Perché dove non c’è spazio per la luce, il buio è l’unico signore.
A tutti, prima o poi, è toccato separarsi da qualcosa che reputavamo soltanto nostro: ma senza ciò che ci appartiene sapremmo ancora dire chi siamo davvero? Il protagonista di questo romanzo abita un appartamento arredato con grande gusto e altrettanta paranoia, due caratteristiche da cui è difficile liberarsi. Soprattutto nel momento in cui si riceve un’improvvisa richiesta di sfratto, che sembra avere una genesi ultraterrena… Del resto, una casa stregata può essere una maledizione, oppure l’occasione per comporre un inventario del proprio passato. «Ridotto così, ero re: delle mie cose, delle mie collezioni, dunque di me, che in quelle collezioni avevo sistematicamente trasferito ogni mia più intima particola». In filologia, il locus desperatus indica un passo testuale corrotto e insanabile, per il quale il filologo è costretto a gettare la spugna contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». E a dare l’avvio a questa storia è proprio una piccola croce, disegnata nottetempo con un gessetto su una porta. Un mattino, uscendo dal suo appartamento, il protagonista nota quel segno appena sopra lo spioncino dell’ingresso di casa: chi può essere stato a farlo, e che significato ha? L’uomo cancella la croce, ma il giorno seguente, e poi quello ancora successivo, il segno ricompare implacabile. Il mistero s’infittisce quando al residente viene imposto uno scambio: qualcuno prenderà il suo posto, e lui dovrà giocoforza trasferirsi. Ma cambiando abitazione sarà costretto a cambiare anche identità: tutte le cose dentro l’appartamento, infatti, dovranno a loro volta scegliere. O fuggiranno insieme a lui, oppure passeranno a un nuovo proprietario – macchiandosi di alto tradimento. Perché ogni oggetto amato ha un’anima, e dunque una sua volontà. Da sempre le case, nella storia della letteratura così come nella vita, sono il luogo dove gli avvenimenti più banali si mescolano a quelli fatidici. L’abitazione al centro di Locus desperatus, però, assomiglia alla Hill House immaginata da Shirley Jackson, o alla Casa Usher di Poe: un’entità senziente, con un suo carattere ben preciso. Un luogo dove l’inconscio di chi ci abita, dopo una lunga frequentazione, è divenuto tutt’uno con i libri, le stampe, gli oggetti e i ricordi d’infanzia. E chi meglio di Michele Mari poteva raccontare lo struggimento e le ossessioni per i feticci accumulati nel corso di un’esistenza, ingaggiando un duello con la propria memoria affettiva? L’autore di Verderame e di Leggenda privata ci consegna una stramba discesa agli inferi e insieme una spietata tassonomia dei ricordi. Un romanzo tormentato e divertente sul senso ultimo che diamo agli oggetti: «Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me loro non sarebbero state più loro».
Nelle profondità dell’oceano si nasconde un segreto che solo la Sigma Force può svelare.
Indie orientali olandesi, 1815. Gli uomini a bordo della Tenebrae osservano attoniti i fiumi di lava che si riversano dalle pendici del vulcano Tambora. Poi, all’improvviso, l’acqua attorno a loro inizia ad agitarsi, come se qualcosa stesse per emergere in superficie. Qualcosa di letale e infuriato… Isola di Giava, due settimane dopo. Il governatore Raffles viene chiamato con urgenza al porto di Batavia, dove la corrente ha riportato a riva una scialuppa della Tenebrae. A bordo, ci sono un uomo e un bambino morti da tempo. A sconvolgere sir Raffles sono le condizioni dei cadaveri, duri e grigiastri, come se fossero diventati di pietra. L’unico indizio di cosa possa essere capitato loro è stretto fra le mani irrigidite dell’uomo: una scatola, al cui interno è custodito un singolo pezzo di corallo nero… Hong Kong, oggi. È un sisma a interrompere i festeggiamenti per il capodanno cinese. E a offrire la copertura ideale a un commando di uomini armati per fare irruzione nella villa in cui si trovano Gray, Seichan, Monk e Kowalski, che riescono miracolosamente a fuggire. Ma non c’è scampo: l’intero Sud-est asiatico è squassato da terremoti e tsunami, che diventano ogni ora più intensi. L’epicentro di tutto sembrerebbe un avveniristico polo di ricerca situato al largo delle coste dell’Australia, a quattromila metri di profondità, dove gli scienziati hanno appena scoperto una nuova specie di corallo nero. Agli agenti della Sigma Force non resta quindi che recarsi sul posto, nella speranza di fare luce su quegli eventi apparentemente inspiegabili e fermare la reazione a catena che rischia di sommergere il mondo intero…
Rinunciando a ogni elemento fiabesco o soprannaturale, ma basandosi sui dati archeologici emersi dagli scavi di Cnosso e sulla propria straordinaria capacità narrativa, l’autrice ridefinisce il profilo del leggendario eroe, facendone una figura a tutto tondo, protagonista di un libro avvincente che il New York Times ha recensito come «il più bel romanzo storico dei nostri tempi».
Chi era Teseo, il mitico uccisore del Minotauro, il più grande e saggio re che Atene ricordi? Per scoprirlo Mary Renault ne ripercorre (e reinventa) la vicenda a partire dall’infanzia, segnata dal mistero sull’identità del padre e dall’insicurezza per la bassa statura, e poi la giovinezza avventurosa tra Trezene, Eleusi, Atene, Creta… Teseo matura una vocazione alle imprese eroiche, si scopre dotato di un ingegno raro che gli consente di fuggire dal labirinto di Minosse, diventa un capo in grado di guidare i suoi uomini, il suo popolo, sul campo di battaglia e non solo.
Pubblicato in coedizione con Libreria Editrice Vaticana. Un cadavere scomparso dopo tre giorni, un caso impossibile, uno straordinario vangelo apocrifo. Un’indagine metafisica che non smette di interrogarci.
Sul monte degli Ulivi un uomo aspetta che i soldati vengano ad arrestarlo per condurlo al supplizio. Quale potenza soprannaturale ha fatto di lui, figlio di falegname, un agitatore di popolo che fa miracoli e predica l’amore e il perdono? Tre giorni dopo, la mattina di Pasqua, Pilato conduce la più stravagante delle inchieste: un cadavere è scomparso ed è ricomparso vivo! C’è dunque un “mistero Gesù”? Man mano che avanza nelle indagini il dubbio gli si insinua nella mente. Questa nuova edizione, riveduta e corretta dall’autore, è seguita dal “Diario di un romanzo rubato”, un testo inedito che ha accompagnato la scrittura del Vangelo secondo Pilato, in cui Éric-Emmanuel Schmitt racconta i suoi turbamenti, dubbi, scrupoli ed entusiasmi nel momento di far rivivere la figura e la parola sulle quali si fonda la nostra civiltà occidentale.
Pensiamo di conoscere bene Afrodite, o Venere per gli antichi Romani. Cosa può avere da dirci che non sappiamo una divinità vanitosa e frivola, dea della bellezza e dell’amore, moglie fedifraga di Efesto, amante di Ares e Hermes? Tuttavia, questa altro non è che una minima parte della verità, e Afrodite non è molto contenta di essere sempre stata sottovalutata e raccontata in modo sbagliato. Per questo motivo, ha deciso di prendere la parola e di narrare la sua versione della storia. Mariangela Galatea Vaglio rielabora con creatività e originalità i miti su Afrodite, dando finalmente voce a una dea fino a questo momento guardata in modo superficiale, e con uno stile coinvolgente e ironico racconta tutte le epoche in cui è stata venerata, i suoi appassionanti amori umani e divini, i suoi scontri con le altre divinità. Quella di Afrodite è una vicenda lunga come la storia del mondo e le sue tante vite sono tutte accomunate da una sola cosa: la volontà di essere libera, come il suo potere di antica dea e forza primordiale della natura richiede, e di combattere per l’amore.
Nel 98 d.C. salì sul trono imperiale di Roma il primo provinciale mai chiamato a rivestire questa carica, lo spagnolo Marco Ulpio Traiano, destinato a passare alla Storia come l’Optimus Princeps, il migliore imperatore per eccellenza. Traiano si distinse in moltissimi campi, tra cui quello dell’edilizia (ricoprendo Roma e l’intero Impero di monumenti straordinari, che ancora oggi suscitano la nostra ammirazione), in quello legislativo e in quello sociale. Favorì anche la maturazione di spiriti letterari illuminati come Plinio il Giovane, Tacito, Dione Crisostomo. Traiano è, tuttavia, noto ai più per le sue grandi conquiste, che nel giro di poco meno di un ventennio portarono le aquile romane a volare sulla Dacia (l’odierna Romania), l’Armenia, la Mesopotamia, l’Assiria. Il presente studio ricostruisce, con il maggior rigore possibile, le campagne traianee, gettando nuova luce sulla strategia e le imprese guerresche del più grande di coloro che sedettero sul trono di Augusto, la cui fama attraversò indenne il Medioevo e l’età moderna.
Indagine su un antico fraintendimento. Con la prefazione di Alessandro Vanoli. Rimane un luogo comune pensare che nel Medioevo si credeva che la Terra fosse piatta. Violaine Giacomotto-Charra e Sylvie Nony tracciano la storia di questa idea falsa e cercano di comprenderne la genesi. A partire dalle fonti antiche, il libro esplora la storia della scienza e del sapere durante il Medioevo e il Rinascimento e si concentra sulla genealogia del mito della Terra piatta. Questo aspetto offre una preziosa riflessione su come le idee errate possono resistere nel tempo, sul modo in cui le credenze si diffondono nella società e sulla facilità con cui giudichiamo il passato sulla base di un certo numero di pregiudizi, e in particolare sulla base dell’idea che la storia proceda in modo lineare, dall’ignoranza alla conoscenza.
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