Tantissime nuove pubblicazioni approderanno nel mese di maggio sugli scaffali delle librerie e negli store online. Ho fatto del mio meglio per cercare i libri più interessanti e le edizioni più preziose. Troverete delle vere chicche letterarie!
ntellettuale caparbia e anticonformista, nemica di qualsiasi forma di oppressione, Mary Wollstonecraft ci offre un romanzo che documenta la condizione delle donne nel Settecento, ma testimonia anche l’esperienza culturale e intellettuale di una donna ribelle a ogni convenzione. Una pioniera con una vita contrastata e discussa, interrotta nel 1797 da una precoce morte per parto. Che all’epoca la sua morte sia stata considerata un “meritato castigo divino” dai suoi detrattori nulla toglie all’immensa portata del pensiero di Wollstonecraft, che ha gettato le basi del femminismo moderno.
La tragica storia degli animali sterminati senza alcuna pietà dall’uomo. Dodo, ritina di Steller, lupo giapponese… sono solo alcuni rappresentanti dei molti animali estinti a causa degli esseri umani. Il volume racconta le circostanze che hanno portato alla scomparsa di otto specie e di ciò che è stato fatto loro per avidità, vanità o semplice ego. Attraverso il loro tragico epilogo emerge il lato più oscuro dell’animo umano.
A Los Angeles i bambini costringono i genitori a fare ore di fila per sedersi qualche minuto sulle ginocchia di Maeve, la regina di ghiaccio, il personaggio più amato del parco divertimenti. Non sanno che Maeve uccide, e che di notte corre sulla Sunset Strip a bordo di una Mustang rosa del ’67, immersa nel paesaggio narcotico delle luci al neon. Poche cose, oltre al lavoro, contano davvero per lei: la sua migliore amica Kate e il corpo malato di sua nonna Tallulah, ex diva del cinema, venerato come un idolo pagano. Maeve non è una vittima dell’ambiente che la circonda; la sua voce è una vertigine infuocata, e il suo red carpet è una scia di distruzione stesa lungo i cocktail bar di Hollywood. Quando Gideon, il fratello di Kate, entra nella sua vita a sconvolgere un equilibrio precario, Maeve sente riaprirsi vecchie ferite, e nuovo sangue comincia a scorrere. Come in un American Psycho contemporaneo, Maeve è una riappropriazione della violenza femminile, un agguato al nostro pudore, e ci trascina in un viaggio dove musica e letteratura sono le compagne maliziose di una delle protagoniste più estreme degli ultimi anni, attraversando una storia d’amore e di potere che è un patto di sangue con le proprie pulsioni più spaventose: perché ora che la soglia è stata oltrepassata, il desiderio conta più di ogni altra cosa.
Una schietta lezione sul significato del viaggio e dell’incontro con l’Altro sulla base di esperienze originali e dirette.
Partendo da diverse ricerche sul campo, condotte tanto in luoghi lontani (Pakistan, Benin, Mali, Timbuctù, Sahel) quanto in ambienti più “nostrani” (Alpi occidentali, Valsusa e Lampedusa), il libro propone una riflessione sull’esperienza antropologica, che consiste innanzitutto nel costruire relazioni con le persone del luogo e nel tentare di ricostruire eventi culturali e narrazioni diverse. L’antropologo cerca così di essere a casa fuori di casa, familiarizzando con processi culturali a lui estranei. Da questo saggio si scopre che la ricerca è fatta di tentativi, di gaffe, di momenti entusiasmanti e di giorni noiosi, ma, al di là dello sforzo di comprensione, l’esperienza antropologica consente di dare vita a relazioni con persone nuove e di fare nascere amicizie destinate a durare nel tempo. Pur confrontandosi con i grandi del passato (da Malinowski ad Amselle) e con i suoi interlocutori del presente (Augé e Remotti, ad esempio), il libro non ha pretese di rappresentare un modello di ricerca, ma piuttosto di riportare la lunga esperienza dell’autore all’interno di una disciplina, che a volte – a dispetto del nome – si perde in tecnicismi e astrazioni, scordandosi del fattore umano. Allo stesso tempo i racconti dal campo fungono da spunti per riflettere sul ruolo dell’antropologia stessa nella società contemporanea.
Cos’è il linguaggio, qual è la sua origine e il suo rapporto con il mito? E, ancora, che ruolo ha la lingua nell’opera di Tolkien, perché l’autore del Signore degli Anelli considera l’uomo una “luce riflessa” capace di sub-creare mondi immaginari tramite le parole? Come ci dice la Flieger in questo volume “le parole sono espressione del mito, incarnazioni di concetti mitici e di una visione mitica del mondo. La lingua ai suoi inizi non faceva alcuna distinzione tra il significato letterale di una parola e quello metaforico, come invece accade ora […]. Qualsiasi tipo di espressione era letterale e dava direttamente voce alla percezione dei fenomeni ed alla partecipazione intuitiva e mitica ad essi da parte dell’umanità”. È a partire da questa teoria della parola e del mito (originariamente proposta da un altro Inkling, Owen Barfield) che Verlyn Flieger in Schegge di Luce elabora un’affascinante interpretazione dell’opera tolkienana, che la critica considera, assieme a La Via alla Terra di Mezzo di Tom Shippey (Marietti 2005) un testo imprescindibile per chiunque voglia cogliere in tutta la sua ricchezza il senso profondo del “legendarium” di Tolkien.
Un mondo in cui tutto ha già trovato risposta e dove non c’è più spazio per il mistero, le domande di senso, le scelte della vita. Romanzo distopico alla Aldous Huxley, uno dei più ricercati long seller Jaca Book, “Il padrone del mondo”, scritto nel 1907, ci porta in una realtà nella quale l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, dove tutto è meccanizzato e programmato per un unico grande progetto: il trionfo dell’Umanitarismo. Ogni aspetto della vita è normalizzato: i rumori sono aboliti, i cibi sono prodotti nei laboratori, l’esperanto ha sostituito la diversità delle lingue… I personaggi sono ricchi di umanità e descritti in modo sapiente: Oliviero Brand il politico, Giuliano Felsemburgh, l’uomo che costituisce la sintesi più sconcertante dei sentimenti e delle aspirazioni che l’Umanitarismo suscita, Percy Franklin, un prete in cui la fede vacilla.
Continuano le indagini di fratello Cadfael il monaco investigatore più famoso del Medioevo Inghilterra, prima metà del XII secolo. In un caldo pomeriggio d’estate, nella serena atmosfera di un monastero, un monaco sta accudendo al suo «giardino dei semplici», l’orto in cui coltiva le piante medicinali. È fratello Cadfael, un tempo marinaio, poi crociato, ora padre erborista e speziale dell’abbazia benedettina di Shrewsbury. È osservatore acutissimo e fine ragionatore, è paziente e dotato di senso dell’umorismo, il saio, i sandali o il crocifisso di legno non devono trarre in inganno. Infatti… è il più grande detective che le cronache medievali ricordino. La sua ambizione è essere lasciato in pace per badare al suo orto, ,a interviene nei fatti di sangue di cui è testimone per more di giustizia e soprattutto quando vede innocenti ingiustamente accusati. 3 libri in 1: Il roseto ardente, L’eremita della foresta, La confessione di fratello Halui.
Liska sa che è la magia è mostruosa e che chi la pratica è malvagio. Ha fatto di tutto per sopprimere il potere che le sboccia nel petto, con conseguenze disastrose. Così, per liberarsene, fugge dal suo villaggio e si inoltra nella Driada, il pericoloso bosco-vivo, per rubare il mitico fiore di felce, che le permetterà di esprimere il desiderio di una vita senza magia. Oltre al fiore, però, nella foresta Liska trova il Leszy, il demone guardiano del bosco, che invece di ucciderla le offre un patto: un anno di servitù in cambio del desiderio del fiore di felce. Costretta ad accettare per non morire, la ragazza viene portata dal mostro nel suo fatiscente maniero divorato dal bosco, e qui comincia a intravedere il groviglio di segreti e fantasmi che avviluppano il suo ospite. Eppure, intrecciati al dubbio, iniziano a germogliare in lei sentimenti nuovi. Ma qualcosa si sta svegliando nella Driada, qualcosa di letale e senza pietà. Qualcosa che spaventa persino il Leszy. Qualcosa che non può essere sconfitto, se Liska non abbraccia il mostro che ha sempre temuto di diventare…
Cinque momenti della vicenda interiore politica e letteraria di Goliarda Sapienza, una scrittrice troppo in anticipo sui tempi. Se normalmente si intende l’autobiografi a come il racconto retrospettivo del proprio vissuto a partire da un punto d’osservazione nel presente, Goliarda Sapienza reinventa il genere, immaginando una scrittura che accompagna a intermittenza lo scorrere della vita. “Lettera aperta”, il romanzo d’esordio, e “Il filo di mezzogiorno” raccontano la turbolenta nascita di una scrittrice che ha fatto di tutto per non diventarlo: Goliarda è la bambina guerresca che non cammina mai perché corre sempre, ma è al contempo la donna adulta che la ricorda. In “Io, Jean Gabin” la protagonista è ancora Goliarda bambina, ma il filtro questa volta è l’identificazione con l’icona virile e anarchica del cinema francese. I due romanzi successivi, “L’università di Rebibbia” e “Le certezze del dubbio”, vedono un cambio di stile e di prospettiva: l’io autobiografico si mette in disparte prestando la sua voce alle donne incontrate a Rebibbia e poi nel «carcere fuori dal carcere» della metropoli romana, in cui vaga alla ricerca della sorellanza intuita e ormai perduta. A scorrere le pagine appassionanti di questa autobiografia sorge un sospetto: e se tutte le contraddizioni alla fine si rivelassero coerenza? Coerenza di verità e bellezza dell’insieme della sua opera.
Stoccolma, 1901. Il Grand Hôtel, che ospiterà la cerimonia del primo Premio Nobel della storia, è in verità sull’orlo del fallimento. Riuscirà una donna a risollevarne le sorti?
In una fredda sera di dicembre del 1901, mentre nella sontuosa sala dei banchetti del Grand Hôtel fervono i preparativi per la prima cerimonia d’assegnazione del Premio Nobel, negli uffici ai piani superiori l’atmosfera è decisamente meno gioiosa. L’albergo, un vanto per la corona svedese e per l’intera nazione, in realtà è sull’orlo del fallimento. Per sovvertire un destino già scritto ed evitare lo scandalo, viene deciso di rivolgersi alla persona che, da sola e dal niente, negli ultimi anni è riuscita a dare vita a una catena d’alberghi di grande successo: Wilhelmina Skogh. Nonostante le sue indubbie qualità, però, la scelta di una donna a capo del Grand Hôtel fa storcere il naso a molti e suscita una vera e propria rivoluzione tra il personale maschile, tanto che la maggior parte arriva addirittura a licenziarsi. Ma Wilhelmina non è certo tipo da lasciarsi intimidire, anzi, sostituisce prontamente gli uomini con una nuova generazione di ragazze che, per scelta o necessità, cercano un’esistenza che vada oltre i confini del focolare domestico. Grazie al coraggio e all’intraprendenza di Wilhelmina e delle sue formidabili collaboratrici, il Grand Hôtel diventa così un modello di eccellenza al femminile, un elegante scenario in cui s’incrociano i destini di umili cameriere e arroganti nobildonne, ricche ereditiere e governanti ambiziose. Un luogo in cui modernità e tradizione s’incontrano e dove tutto sembra possibile, anche realizzare i propri sogni… Ispirato a una storia vera, questo romanzo ci fa entrare non solo nelle stanze segrete di un albergo iconico che ha segnato un’epoca, ma soprattutto nei cuori e nelle menti di un gruppo di donne brillanti e determinate, che non hanno avuto paura di sfidare le convenzioni del loro tempo pur di realizzare le proprie aspirazioni, diventando così un esempio di emancipazione e successo.
Arrivato alla soglia dei novant’anni, dopo aver affascinato i suoi lettori con i segreti della Storia, della musica e della religione, Corrado Augias racconta l’avventura di una vita, la sua. E con grande talento di narratore, evoca l’infanzia in Libia, il ritorno a Roma, l’incubo dell’occupazione tedesca, il collegio cattolico, i primi passi nel giornalismo, e poi «Telefono giallo» e «la Repubblica». È un racconto che ha il calore e l’empatia della conversazione tra amici: la vita s’impara, ci dice Augias – soprattutto se non si perdono mai la curiosità intellettuale e la passione civile. A quasi novant’anni, Corrado Augias è un prezioso testimone del cambiamento. L’Italia di oggi – esclusi gli eterni vizi nazionali – assomiglia poco a quella di ieri. Augias ci racconta l’infanzia passata in Libia al seguito del padre ufficiale della Regia Aeronautica; la guerra e i bombardamenti; l’incubo di una feroce e lugubre occupazione; gli anni in un collegio cattolico, per lui che oggi si confessa ateo. E poi la vita professionale, il giornalismo, i libri, le fortunate circostanze che lo hanno reso partecipe di tre eventi importanti nella vita culturale del paese: la nascita della Direzione centrale programmi culturali della Rai; la fondazione del giornale «la Repubblica» nel 1976, il rilancio di RaiTre nel 1987. L’invenzione di alcuni fortunati programmi televisivi da «Telefono giallo» a «Babele», da «Città segrete» alla più recente creatura «La gioia della musica», ultimo programma ideato per la Rai prima del passaggio a La7 ancora una volta con un fortunato programma di cultura: «La Torre di Babele». Accadimenti che sono però solo la parte pubblica di un percorso che ha una componente intima ancora più interessante: il lungo apprendistato a una matura dimensione d’intellettuale. Agli eventi che hanno scandito la sua vita, Augias affianca le letture di cui s’è nutrito e dalle quali ha «imparato a vivere». Da Tito Lucrezio Caro a Renan, da Feuerbach a Freud e poi Spinoza, Manzoni, Beethoven, Nietzsche, Leopardi, i suoi maestri sono pensatori, poeti, narratori, musicisti: una costellazione ampia che non esita a chiamare il suo pantheon, figure che hanno arricchito il suo percorso professionale e, insieme, la sua consapevolezza di cittadino.
La penultima verità (1964) è insieme thriller apocalittico e distopia fantascientifica, un romanzo che affronta i temi cari a Philip Dick – la manipolazione della realtà e la difficoltà di distinguere la verità da ciò che è falso – ricorrendo anche a un ricco bagaglio culturale e letterario, dall’ Inferno dantesco al film Metropolis, fino a 1984 di Orwell.
La terza guerra mondiale infuria. O almeno così credono i milioni di persone stipate da quindici anni nei “formicai”, rifugi sotterranei costruiti per difendersi dal conflitto nucleare, mentre sulla superficie i plumbei, androidi guerrieri immuni alle radiazioni, al gas nervino e ai batteri letali, portano avanti i combattimenti tra euro-americani e russo-asiatici. Ogni giorno i comunicati diffondono immagini e notizie di un olocausto atomico che nutrono il terrore dell’umanità e sostengono la sua fede nell’onnipotente Protettore, Talbot Yancy. Ma quando Nicholas St James, il presidente di un formicaio, riesce a salire sulla superficie, scopre che non vi è alcuna guerra, e il pianeta è tutt’altro che devastato. Le autorità hanno mentito, questo è chiaro. Ora vuole scoprire perché.
Questa storia, che è la nostra storia, inizia dall’inizio. Dalla nascita: l’atto fisico che ci introduce in una dimensione dell’esperienza che agisce come «l’effetto di un incantesimo», confinandoci in una limitata porzione di realtà. Edoardo Camurri ci conduce alla riscoperta dell’origine materiale, tangibile, delle idee che, senza che ne siamo consapevoli, ci relegano entro limiti angusti. Per reincantarci, è necessario il disincanto. Dobbiamo hackerarci, dimenticare leggi immutabili che, nella giusta prospettiva, si rivelano null’altro che abitudini. Dobbiamo riscoprirci atomi, cellule, emozioni e desideri – il tessuto stesso della realtà. Contrariamente a quanto il titolo lascerebbe pensare Introduzione alla realtà non è una lezione, ma un meraviglioso esercizio di straniamento – un’uscita dagli automatismi della percezione. Un’epistola psichedelica in cui l’autore, rivolgendosi a un «tu» che è tutti noi, ci accompagna nel percorso da seguire per riscoprire aspetti dell’esistenza ancora inediti, nascosti solo dal sottile velo della quotidianità.
Howard Phillips Lovecratt, il più grande autore di letteratura fantastica del Novecento, è l’oggetto e insieme il soggetto di questo testo scritto da Michel Houellebecq “come se si trattasse del mio primo romanzo”. Fondendo in un sapiente collage elementi biografici e analisi del testo, apparati critici e aneddotica, saggio e racconto, l’autore più trasgressivo del panorama letterario francese ha saputo offrire un tributo viscerale e appassionato all’autore che più ama, e soprattutto alla creatura più amata, quella “letteratura del sogno” di cui H.P. Lovecraft fu esponente a tutt’oggi insuperato.
Trentino 2022. Damiano Diamanti è un romanziere perseguitato dal senso di colpa per un avvenimento terribile che è dolorosamente connesso al suo successo di autore. Logorato dagli incubi, dalle violente crisi di panico che lo colgono all’improvviso e che seda con mix di alcol e pillole, sono anni che non scrive un libro. Nella speranza di dare una svolta alla sua situazione, decide di affittare una baita in Trentino e rintanarsi nel silenzio della natura selvaggia. Ma non sarà di certo un soggiorno tranquillo quello che lo attende. Dietro la sua apparente tranquillità, il borgo di Pravernì nasconde qualcosa di oscuro: un mistero che arriva da un passato lontano e che chiama nelle notti di luna piena. Voi ci credete, ai mostri? Da uno degli autori più letti del panorama horror italiano, una moderna favola nera dalle tinte pulp, che conserva tutto il sapore dei vecchi horror in VHS.
Un viaggio al tempo del Medioevo, visto con gli occhi di pellegrini, commercianti, spie e santi, da ovest a est, passando per Costantinopoli, Gerusalemme, Etiopia e Cina. Dagli animati bazar di Tabriz alla misteriosa isola di Caldihe, dove si diceva che le pecore crescessero sugli alberi, dalla Via della Seta alle escursioni per le strade di Istanbul e Gerusalemme, Anthony Bale fa rivivere il Medioevo, invitando il lettore a esplorare un mondo costellato di miracoli, meraviglie e luoghi un tempo famosi e oggi dimenticati. Come una vera guida turistica, il libro offre anche consigli su frasi utili, dove alloggiare e mangiare, e su come evitare briganti, malattie e altri pericoli della strada. Servendosi di cronache dell’epoca mai tradotte prima e provenienti dai luoghi più disparati, tra cui Turchia, Islanda, Armenia, Indonesia, Nord Africa e Russia, Viaggi nel Medioevo è una sorta di atlante vivente che rende indistinti i confini tra luoghi reali e immaginari e offre al lettore uno spaccato vivido e indimenticabile di come veniva inteso il mondo nel Medioevo.
In una magione del Bedfordshire che ha visto giorni migliori, di proprietà della celebre enigmista Philippa Allsbrook, un eccentrico gruppo composto da sciaradisti e sciaradiste, creatori e creatrici di rebus e labirinti, enigmisti ed enigmiste per lo più ottuagenari trascorre la propria esistenza ideando e risolvendo rompicapi. Le loro menti sono le più acute e affinate d’Inghilterra, eppure c’è un segreto che nemmeno i soci della Compagnia conoscono, un segreto che Philippa, sul letto di morte, affida a Clayton Stumper, il giovane uomo che lei stessa, un giorno di venticinque anni prima, ha trovato abbandonato in fasce fuori dalla porta della villa. Clay, allevato dai più brillanti geni del secolo scorso, si veste come un uomo d’altri tempi, beve sherry e non sa niente delle proprie origini. Ma, forse, il fitto mistero che ammanta il suo passato può trovare una soluzione grazie alla curiosa scatola che Philippa gli ha lasciato in eredità. Aiutato dalla bislacca quanto astuta Compagnia, Clayton (e con lui il lettore) cercherà di decifrare gli indizi contenuti nel cofanetto in un viaggio fra labirinti e rompicapi che, forse, lo porteranno a sciogliere l’enigma più difficile di tutti, quello che riguarda chi siamo veramente.
Una storia che parla di fuga, della feroce dedizione di una madre e di un amore queer che emozionerà chiunque sia in cerca di una lettura seducente, commovente, insolita. E totalmente nuova.
Nascoste in Inghilterra e Scozia vivono sei antiche Famiglie di divoratori di libri. Ultimi della loro stirpe, i membri vivono ai margini della società, nutrendosi di carta stampata e mangiando volumi di ogni genere ed epoca, e così facendo ne assimilano i contenuti. Tra di loro nascono sempre meno bambini, ma Devon Fairweather ne ha avuti ben due; solo che Cai, il secondo, non è un divoratore di libri, è un divoratore di menti: non consuma le storie, ma i cervelli e i ricordi degli umani. Prima che il piccolo possa trasformarsi in un flagello per la sua stessa famiglia, e non solo, Devon scappa, e trova rifugio proprio tra gli umani, in cerca di una cura per l’appetito di Cai mentre gli procura di che sfamarsi. Ma non ha più molto tempo: la Famiglia la reclama, e intanto…
18 d.C. L’impero romano governa gran parte del mondo conosciuto. Oltre la frontiera settentrionale si trova la Britannia, resa vulnerabile alle ambizioni di Roma dalle continue faide tra le varie tribù celtiche. Carataco, figlio di un potente re, non ha idea del destino che lo attende quando viene inviato a addestrarsi con i druidi. Un regime brutale, che trasforma il giovane principe in un guerriero dotato di abilità militari e di un’astuzia strategica essenziali per sconfiggere il più forte dei nemici. Niente, però, può davvero preparare un uomo alla crudele realtà della guerra. Quando il padre di Carataco prende posizione contro le aggressive tribù vicine, non è più tempo per le esercitazioni; questa è una lotta all’ultimo sangue. Ma Carataco e i suoi leali compagni sono pronti a fare tutto il necessario e a sopportare qualsiasi difficoltà per sconfiggere coloro che vogliono distruggere il loro regno. Mentre il caos e la devastazione si diffondono per tutta la Britannia, ovunque aleggia la presenza minacciosa di Roma. Anche se una battaglia è stata vinta, il conflitto con l’impero è sempre più imminente…
L’avventuroso viaggio di Claire continua e la porterà ora in un mondo di intrighi e cospirazioni, dalla corte francese di Luigi XV alle oscure trame dei giacobiti, fino al campo di battaglia di Culloden, nelle Highlands, in una lotta disperata per riuscire a salvare al contempo la Scozia, la figlia e l’uomo che ama.
Da vent’anni Claire Randall custodisce gelosamente il suo segreto. Ora però ha deciso di tornare sulle maestose alture scozzesi avvolte dalla nebbia, assieme alla figlia Brianna ormai adulta. È qui che vuole svelarle una verità sconvolgente, come gli eventi a cui ha dato origine. Le vuole parlare del mistero di un antico cerchio di pietre, della magia di un amore capace di trascendere le barriere del tempo; soprattutto, vuole raccontarle di Jamie Fraser, che con il proprio fascino aveva trascinato Claire dalla sicurezza del Ventesimo secolo ai pericoli del suo tempo lontano.
Dalla A del monte Athos alla mitica X di Xanadu, passando per la S dell’isola di Sarawak e per la T della Thailandia, pochi scrittori sono stati, come Steven Runciman, l’epitome di quei viaggiatori dell’Impero britannico per i quali il mondo era la loro ostrica preferita. La sua vita e i suoi soggiorni nei più svariati Paesi – Bulgaria, Messico, Cina, Turchia, Siria – racchiudono una moltitudine di storie (affascinanti, esotiche, divertenti) di cui questo singolare Alfabeto del viaggiatore è lo straordinario compendio. Così, di volta in volta, troviamo Sir Steven aiutare a far nascere un bambino sula strada per Tessalonica; rimanere assediato nel 1925 nella città cinese di Tiensin; esaminare con circospezione la collezione di un cacciatore di teste nel Borneo; vedere i fantasmi in compagnia del principe del Siam; versare cera bollente sulla testa calva del maresciallo Montgomery in una pasqua bellica a Gerusalemme… Quanto più vicino all’autobiografia che non volle mai scrivere, Alfabeto del viaggiatore abbraccia in pratica l’intero «secolo breve» che Steven Runciman percorse in lungo e in largo, da studioso e da diplomatico sui generis, con uno spirito acuto e divertito, nonché un’attrazione, ricambiata, per teste coronate e aristocrazie in via di sparizione. Così, questo libro è anche l’estremo omaggio a un’epoca e a un mondo in cui viaggiare era ancora un piacere.
Un romanzo travolgente, ricco di misteri e segreti, che attraverso i libri costruisce una storia avvincente e magica. E che ancora una volta ci ricorda la forza delle amicizie al femminile e gli infiniti insegnamenti che trapelano dalle pagine che abbiamo amato.
Londra, 1921. La giovane Opaline fugge dal matrimonio combinato a cui il fratello vuole costringerla per risolvere i problemi finanziari della famiglia. Appassionata da sempre di libri, si rifugia in un’incantevole libreria nel cuore di Parigi, la Shakespeare and Company, dove, con l’appoggio dell’eccezionale proprietaria Sylvia Beach, impara il mestiere di libraia. Quando il fratello riesce a rintracciarla, Sylvia prontamente la manda a Dublino, al numero 12 di Ha’penny Lane, presso un’antica bottega che, con talento e intuito, Opaline trasforma in una libreria specializzata in testi antichi e rari. La sua passione la spinge a mettersi sulle tracce della sua autrice preferita, Emily Brontë, e del seguito di Cime tempestose , romanzo della cui esistenza nessuno ha mai avuto conferma. Molti anni dopo, sempre a Dublino, Martha scappa da un marito violento e trova conforto a casa di Madame Bowden, una bizzarra attrice in pensione che la assume come governante: spaventata e diffidente nei confronti di chiunque, Martha ha una sensibilità particolare che le permette di leggere le vite delle persone. E quando incontra per caso Henry, uno studente universitario che si aggira attorno alla casa di Madame Bowden, capisce di avere davanti a sé qualcuno di speciale. Henry è in cerca di un volume che dovrebbe trovarsi in una libreria proprio accanto alla casa di Madame Bowden. Ma la libreria non c’è, sembra essere svanita nel nulla. E con lei Opaline Gray, la sua proprietaria. Cosa le è accaduto? E dove è finito il manoscritto, il cui ritrovamento potrebbe aggiungere un tassello importante alla storia della letteratura? Nel frattempo, nella stanza di Martha in Ha’penny Lane, i rami di un albero iniziano ad affiorare come per magia dalle pareti, circondandola di romanzi da leggere e offrendole un’occasione di riscatto.
I viaggi di Freud in Italia si configura dunque come un’analisi comparativa dell’intera opera freudiana, un lavoro di ricostruzione storico-documentale tra materiali finora inediti, che ci offre uno sguardo esclusivo e privilegiato sulla vita dello studioso, oltre che dell’uomo.
Nella primavera del 2009, tra gli scaffali della Library of Congress di Washington D.C., Gerhard Fichtner e Albrecht Hirschmüller fanno una scoperta sorprendente: mentre sono intenti a fotografare alcuni documenti inediti presso la Manuscript Division, si imbattono in un contenitore mai esaminato prima con dieci scomparti, ciascuno con un piccolo taccuino. Realizzano così di aver ritrovato i taccuini tascabili che Sigmund Freud portava con sé durante i suoi viaggi e che fino ad allora erano stati considerati perduti. Si tratta di materiali sfuggiti – forse per un caso fortuito – all’opera di distruzione di documenti autobiografici operata da Freud stesso. È a partire da questi preziosi ritrovamenti che si sviluppa la ricerca di Marina D’Angelo, storica della psicoanalisi che ha affiancato Fichtner e Hirschmüller nell’interpretazione delle parti legate ai viaggi italiani nei taccuini, e che qui ci fa da guida nell’«agognata Italia» freudiana. Che cosa cercava Freud in Italia anno dopo anno? E che ruolo hanno avuto le esperienze italiane nella sua opera? L’Italia è paesaggio esteriore in cui lo studioso ritorna per venticinque volte e dove cerca quella «linfa vitale» in grado di spingerlo a concepire nuove teorie, ma è anche paesaggio interiore che concede spazio alle sue fragilità. D’Angelo segue così i complessi percorsi tracciati da Freud nella penisola, usando come bussola i frammenti contenuti nei taccuini inediti, le numerose lettere e l’immenso corpus di opere, fino a scorgere tra le pagine i pensieri ancora in nuce, spesso anticipatori di teorie sviluppate in seguito, e giungendo a ricostruire la nascita della psicoanalisi.
È possibile parlare di magia per l’antichità? A tale domanda risponde quest’antologia, attraverso testi di diverso genere che, in uno scenario carico di sepolcri, animali notturni e latranti, corpi smembrati, erbe potenti, formule incantatorie, forniscono al lettore uno sguardo sui modelli culturali degli Antichi.
Flaminia Beneventano della Corte è dottore di ricerca in Antropologia del Mondo Antico (Università di Siena) e insegna al Lorenzo de’ Medici International Institute, nei dipartimenti di Ancient e Religious Studies di Camnes (Centre for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies).
Le trasformazioni della lingua italiana possono essere studiate anche attraverso la storia dei dizionari che nel corso dei secoli ne hanno raccolto e definito le parole. A partire dal 1612, con la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, l’italiano, prima di ogni altra lingua in Europa, ha avuto in quell’opera un modello di riferimento. Da allora i dizionari, che non sono “cimiteri di parole”, ma specchi della società e del tempo in cui sono stati pubblicati, hanno continuato a documentare sia i mutamenti del lessico sia quelli della cultura in cui sono nati. La nuova edizione di questo piccolo libro offre una guida alla conoscenza e all’uso delle numerosissime e diverse raccolte lessicali, dalle più antiche alle più recenti, ricostruendone la storia e analizzandone la tipologia e la struttura compositiva.
La prima edizione di Der Baader-Meinhof Komplex – da cui sono stati tratti soggetto e sceneggiatura del cult La banda Baader Meinhof di Uli Edel, candidato agli Oscar 2009 come miglior film straniero – non era completa come questa, che arriva in libreria a 50 anni dalla morte in carcere di Holger Meins, promettente studente di cinematografia, tra i primi membri della RAF. Aust – giornalista, sceneggiatore, autore per la tv, memoria diretta e storica in quanto collaboratore di Ulrike Meinhof prima che l’editorialista di punta di konkret si desse alla lotta armata, colui che salvò le di lei figlie evitando che finissero in un campo profughi, come da desiderio materno – diede alle stampe il libro nel 1985. Da allora ha continuato a fare ricerca, raccogliendo materiali di tutti i tipi, di volta in volta aggiornando la versione tedesca. Come racconta nella sua premessa a questa nuova, integrale, edizione, ci sono «centinaia di pagine nuove con tutta una serie di importanti informazioni», a partire dalle registrazioni dei prigionieri a Stammheim e dai documenti desecretati dai servizi segreti tedeschi. «Dopo 40 anni e oltre, posso dire che non è rimasto molto da aggiungere». Impreziosiscono il tomo la prefazione di Volker Schlöndorff, regista di Germania in autunno e Il silenzio dopo lo sparo, e l’introduzione di Claudio Bartolini dedicata ai lavori per il cinema e la tv di Aust.
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