Amalasunta incarna alla perfezione quel diritto all’autodeterminazione che ancora oggi molte donne sono costrette a rivendicare. Sullo sfondo, un periodo storico inquieto e seducente che, tra conflitti e giochi di potere, ha posto fine al mondo antico. 495 d.C. Il suo stesso nome ne evoca la forza. Amalasunta: la forte Amala. Lo ha deciso sua madre, per lenire la frustrazione del grande Teoderico, re degli Ostrogoti: una figlia forte e sana come il maschio che non è arrivato. E Amalasunta non delude le aspettative, crescendo fiera e determinata. Dal padre, grande guerriero e stratega che ha riunito sotto di sé tutto il suolo italico, acquisisce l’ardimento e il valore ma anche l’amore per la cultura. Studia gli autori greci e latini, disserta di filosofia e teologia, trascurando invece le arti femminili, a cui preferisce le uscite a cavallo e le battute di caccia in compagnia del suo schiavo Traguilano. Il giorno in cui Teoderico la conduce con sé nella chiesa di Santa Croce a Ravenna, gli splendidi mosaici che la rivestono le annunciano il futuro. Presto, per volere del padre e per mano di maestri bizantini, altre pietre daranno testimonianza della grandezza del regno; Amalasunta, però, è consapevole che non potrà mai fare ammenda del suo errore più grande: essere nata femmina. Anche se su quei muri troverà posto il suo ritratto, quando siederà in trono non sarà per regnare ma per stare accanto a un uomo scelto da altri come suo marito e sovrano. La libertà è però un sogno a cui Amalasunta non intende rinunciare. La libertà di decidere il proprio futuro, di scegliere ciò che è bene per il suo popolo. La libertà di amare qualcuno che non è degno del sangue regale ma ha fatto breccia nel suo cuore, perché ha saputo riconoscere nello spirito indomito di una donna il coraggio di pretendere ciò che le spetta. In un racconto serrato e avvincente, rivive una figura di grande fascino e modernità.
Originalissimo, avvincente, inquietante e spassoso al tempo stesso, Profeta si interroga, e ci interroga, sul valore dei ricordi e sul significato inaspettato che questi possono assumere nella nostra vita. In una sperduta località dell’Inghilterra cominciano a succedere cose strane. Una tavola calda perfettamente accessoriata compare in mezzo al nulla, e qua e là vengono rinvenuti una serie di oggetti improbabili: giocattoli, peluche, mazzi di rose, cassette degli attrezzi. Poco prima, in una vicina base militare, si è verificata una morte in circostanze singolari. Secondo le autorità potrebbe esserci un collegamento tra il decesso e le apparizioni. Ma quelle stesse autorità brancolano nel buio. I due agenti speciali Sunil Rao e Adam Rubenstein, diversissimi come carattere ma straordinari nel portare a termine missioni internazionali della massima importanza, vengono chiamati a indagare. Dopo un po’ scopriranno che circola una misteriosa sostanza, chiamata Profeta, che materializza i ricordi più belli e nostalgici delle persone, salvo poi usarli contro di loro. Ma chi c’è dietro a questa terribile operazione? Perché uccidere degli innocenti? E soprattutto, come sottrarsi a questa terribile rappresaglia del proprio passato?
Parigi, 1894. Mentre si immerge nelle intricate ricerche per la sua seconda laurea in Matematica, dopo aver conseguito quella in Fisica, Marie s’imbatte in Pierre, un animo affine in grado di decifrare la sua mente complessa. Tra loro nasce un connubio di intelletti straordinari, uniti dalla sete di conoscenza e dalla volontà di esplorare insieme gli enigmi dell’universo. Tuttavia, Marie fin da giovane si rivela essere una donna particolare: rifiuta il destino di moglie tradizionale, respingendo l’idea di confinarsi tra le mura domestiche. Per lei, l’amore per la scienza è un compagno di viaggio nel sogno comune, un’ossessione che la guida lungo un percorso inedito. Quando si ritrova improvvisamente sola, costretta a confrontarsi con l’ostilità dell’ambiente scientifico maschilista e conservatore, inizia una battaglia per affermare la sua identità e il suo ruolo nel mondo. La vita di Marie prende così svolte inaspettate, mettendo alla prova la sua forza e la sua determinazione. Tra avventure misteriose e sfide personali, la scienziata che avrebbe successivamente conquistato ben due premi Nobel si trova a lottare non solo contro le forze della natura, ma anche contro un’epoca che fatica ad accettare il genio femminile. Attraverso la penna di Sara Rattaro, la figura di questa donna prodigiosa giunge fino a noi per portare il suo messaggio necessario e potentemente contemporaneo in ogni ambito e sfera dell’oggi: indossate il vostro coraggio e sfidate il mondo. È possibile. Tutte possiamo essere Marie Curie.
Selezionato come centesimo libro dell’Oprah Book Club 2023!
Il nuovo straordinario romanzo di Ann Napolitano, per mesi in testa alle classifiche americane, è una storia d’amore intensa e appassionata, che omaggia e reinterpreta in chiave contemporanea il capolavoro senza tempo di Louisa May Alcott Piccole donne.
William Waters è cresciuto senza l’affetto dei genitori, in una casa segnata dalla tragica scomparsa della sorella; così, quando al primo anno di università incontra la vivace e ambiziosa Julia Padavano, è come se il mondo si illuminasse intorno a lui. Con Julia arriva anche la sua famiglia e, soprattutto, le sue tre inseparabili sorelle: Sylvie, grande sognatrice, felice solo con un libro tra le mani; Cecelia, artista dallo spirito libero; Emeline, che si prende pazientemente cura di tutti loro. Con i Padavano, e la loro adorabile confusione, William sperimenta per la prima volta l’amore di una famiglia. Quando però il suo passato oscuro riemerge, mettendo in crisi non solo i piani accuratamente orchestrati da Julia per il loro futuro, ma anche l’indissolubile legame delle sorelle, il risultato è una rottura familiare apparentemente insanabile: i loro rapporti si modificano irrimediabilmente, mentre l’esuberanza e la gioia dell’infanzia lasciano il posto alle disillusioni dell’età adulta. Il divorzio, la ferita di un tradimento, la rabbia: ognuno di loro dovrà imparare a guardare oltre i propri orizzonti e a cambiare prospettiva per superare le difficoltà e capire se la lealtà e il legame che un tempo li univano saranno abbastanza forti da sopravvivere. Un romanzo che resta a lungo nel cuore e che esplora l’amore in ogni sua forma e sfumatura.
«Un esordio che celebra la vita di donne libere e straordinarie in grado di anticipare i tempi.» – The New York Times Book Review Viviamo… l’opposto… con audacia. «La nostra prima iniziativa fu quella di cambiarci il nome. Saremmo diventate Saffo.» Ci facciamo chiamare così perché vogliamo essere libere e indipendenti. Vogliamo avere idee e prospettive. Vogliamo essere attrici, scrittrici, o qualunque cosa scelgano i nostri sogni. Vogliamo avere speranze e infinite possibilità. Vogliamo essere e sentirci donne nel modo in cui piace a noi e a nessun altro. Ma non sempre è possibile. Molte volte, ci obbligano a sottostare al volere degli altri. Molte volte, altri prendono le decisioni al posto nostro. Molte volte, siamo costrette a sposarci, a essere madri, a essere docili, a essere belle come dicono loro, a dire sempre di sì. Ed è allora che decidiamo di resistere, di lottare, di ribellarci. Siamo Lina Poletti, Virginia Woolf, Natalie Barney, Romaine Brooks, Sarah Bernhardt, Isadora Duncan, Nancy Cunard, Gertrude Stein e Radclyffe Hall. Siamo qui a dirvi cosa vuol dire essere donna quando non hai una voce. Quando soffocano la tua voce. Siamo qui a dirvi che un futuro diverso è possibile. Siamo qui a dirvi che per viverlo bisogna lottare, ieri come oggi.
Le radici cristiane dell’Europa sono uno dei grandi miti del nostro tempo. Le radici cristiane dell’Europa sono un mito storico-identitario. Pretendono di dirci non soltanto da dove veniamo, ma anche chi siamo e, soprattutto, non possiamo non essere, perché – come affermano i sostenitori del mito – un albero cui vengono tagliate le radici muore. Nei due secoli abbondanti della loro storia, le radici cristiane dell’Europa hanno cercato soprattutto di elevare alcuni (la Chiesa e i cattolici) al di sopra degli altri. Questo libro costituisce la prima storia del mito, dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri. Anche perché le radici cristiane dell’Europa sembrano essere giunte a una svolta. Spesso c’è un confine sottile – anzi, sottilissimo – tra il vero e il falso. È questo il caso delle «radici cristiane dell’Europa», che possono essere tanto una rappresentazione oggettiva, perfino scientifica, della realtà, quanto una rappresentazione ideologica della realtà stessa, cioè un mito. Da oltre due secoli, infatti, si confrontano due modi apparentemente simili, eppure estremamente differenti (se non opposti), di raccontare la storia europea e, in particolare, il ruolo esercitato, al suo interno, dalla religione cristiana. Il primo, che affonda le sue radici nella riscoperta romantica della religione, presenta semplicemente il cristianesimo come un elemento fondamentale del passato dell’Europa; il secondo, che risale alla Controrivoluzione francese ed europea dell’ultimo decennio del Settecento, presenta il cristianesimo, invece, come l’elemento chiave di quel passato. Questo libro ricostruisce la lunga storia del secondo, dall’assedio di Lione da parte dell’esercito rivoluzionario francese (1793) all’attuale presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, passando per tanti altri luoghi, attori (praticamente tutti maschi) ed eventi della storia europea degli ultimi due secoli. Le radici cristiane dell’Europa sono un mito in tutti i sensi. Innanzitutto, sono un racconto falso (anche se non fantastico) sulle origini di una cultura, tramandato – e continuamente trasformato – per legittimare un certo sistema sociale. Inoltre, rappresentano il frutto dell’idealizzazione di eventi e personaggi del passato, a cominciare dalla «cristianità» medievale.
Il sorprendente romanzo inedito dell’autore di Cent’anni di solitudine e L’amore ai tempi del colera.
Un’esplorazione del desiderio che non si affievolisce con l’età; il dono inatteso e sorprendente di uno dei più grandi scrittori che il mondo abbia mai conosciuto.
Si sentì maliziosa, allegra, capace di tutto, e imbellita dalla mescolanza sacra della musica con il gin. Pensava che l’uomo del tavolo di fronte non l’avesse vista, però lo sorprese a osservarla quando lo guardò per la seconda volta. Lui arrossì. Lei sostenne il suo sguardo mentre lui controllava l’orologio da tasca con la catenina. Ogni anno, il 16 agosto, Ana Magdalena Bach – quasi cinquant’anni di età e una trentina scarsa di soddisfacente vita matrimoniale – raggiunge l’isola dei Caraibi dove è sepolta sua madre. Il traghetto, il taxi, un mazzo di gladioli e l’hotel: questo rituale esercita su di lei un irresistibile invito a trasformarsi – una volta all’anno – in un’altra donna, a esplorare la propria sensualità e a sondare la paura che silenziosa cova nel suo cuore. Lo stile inconfondibile di Márquez risplende in Ci vediamo in agosto, romanzo musicalissimo di variazioni sul tema che è nello stesso tempo un inno alla libertà, un omaggio alla femminilità, una riflessione sul mistero dell’amore e dei rimpianti.
A Three Pines è arrivata la bella stagione, ma non tutto è destinato a tornare in vita. Oltre a un tradimento inaspettato, stavolta Armand Gamache dovrà affrontare una seduta spiritica finita male.
Nel piccolo villaggio del Quebéc alcuni abitanti hanno deciso di invitare una sensitiva alla vecchia casa degli Hadley, sperando di liberarla da un’antica maledizione. Ma quello che sembra un innocuo rituale causa la morte, per crepacuore, di uno dei partecipanti. Eppure, giunto sulla scena del crimine, l’ispettore Gamache è costretto a chiedersi: si è trattato davvero di una morte naturale? Armand si ritrova così coinvolto in un caso che lo costringerà ad affrontare i propri fantasmi e quelli di una comunità apparentemente idilliaca, dove le relazioni sono molto più pericolose di quanto sembri. Il terzo romanzo della serie dell’ispettore Armand Gamache, ormai un classico del giallo.
Atmosfere gotiche e steampunk, tra Jane Austen e i fratelli Grimm, per una trilogia fantasy ricca di azione, sentimento, umorismo e suspense.
Edimburgo 1844. La bella Aileana Kameron sembra una giovane debuttante come tante, una frivola ragazzina dell’alta società. Di notte però dà la caccia alle malvage creature fatate che terrorizzano gli abitanti della città, in cerca di quella che le ha ucciso la madre. La sua missione di vendetta diventa però più complicata mano a mano che i suoi sentimenti per Kiaran MacKay, l’essere fatato che le ha insegnato a uccidere i suoi simili, si fanno più intensi e ambigui. E quando le fate mettono in atto un complotto per sterminare l’umanità, Aileana deve scegliere tra la soddisfazione personale, l’amore, e la salvezza della città che ama. Anche se ciò significasse fidarsi del nemico. Curato da Alessia Merlo e Rossella Pinto, il volume contiene i romanzi La Falconiera, Il Trono Evanescente e Il Regno Caduto nelle traduzioni di Anna Carbone.
Attraverso un racconto frastagliato e mai lineare, come la realtà che descrive, Francesco Costa ci accompagna in un sorprendente viaggio on the road nel Nuovo Mondo, procedendo frammento dopo frammento nell’esplorazione di un paese che trova sempre il modo di mostrarci le prove generali di quello che vedremo dalle nostre parti, nel bene e nel male. Buon viaggio.
C’è una storia che ascoltiamo da un po’ di tempo, e descrive la più grande superpotenza del pianeta come in balìa di un irrimediabile declino. È la narrazione di un paese che balla sull’orlo del precipizio, dove la radicalizzazione non è arrestata, le differenze fra conservatori e progressisti si sono allargate e le donne hanno perso persino il diritto a interrompere una gravidanza. Tutto vero. L’aria che si respira oltreoceano è elettrica, le tensioni razziali si sono inasprite e c’è un ex presidente che ha cercato di restare al potere dopo la sconfitta, che deve rispondere di oltre 90 gravi capi d’accusa e che nonostante questo – o proprio per questo? – è venerato da un’agguerrita minoranza della popolazione. Eppure sta succedendo anche altro. Gli Stati Uniti hanno ampliato la forza lavoro come non era mai accaduto prima, stanno riducendo le diseguaglianze, hanno innescato una rinascita industriale, hanno approvato il più grande investimento di sempre contro il cambiamento climatico. Non hanno mai avuto così tante donne con un lavoro, così tante persone con disabilità con un lavoro; il reddito mediano non è mai stato così alto, le persone afroamericane sotto la soglia di povertà mai così poche. Il tutto mentre la Cina affronta una fase di grande incertezza e rinuncia al sogno del tanto atteso sorpasso. Gli Stati Uniti d’America stanno attraversando un momento affascinante e contraddittorio, poco compreso e per certi versi unico nella loro vicenda nazionale. Com’è possibile che queste cose accadano contemporaneamente, nello stesso posto? Cos’hanno in testa gli americani, al di là delle caricature che vanno forte sui media?
In un’epoca come la nostra, segnata da fame, migrazioni di massa, epidemie, guerre e riscaldamento globale, e da un atteggiamento fatalistico e d’impotenza rispetto alle crisi che siamo chiamati a fronteggiare, può valere la pena tornare a riflettere sui temi e sulle suggestioni che questo testo straordinario continua a suscitare. Bart D. Ehrman è James A. Gray Distinguished Professor di Studi religiosi alla University of North Carolina (Chapel Hill). Con Carocci editore ha pubblicato Sotto falso nome (2a ed. 2018), La Bibbia. L’Antico e il Nuovo Testamento (1a rist. 2019), I Cristianesimi perduti (7a rist. 2023), Prima dei vangeli (2a ed. 2024), Il trionfo del cristianesimo (2a ed. 2024), Inferno e paradiso (2a ed. 2024).
«Pardonné ce crime: la Vie», Romaine Brooks e le artiste incendiarie – scrittrici, pittrici, attrici: Ida Rubinstein, Colette, Djuna Barnes, Renée Vivien e tante altre – hanno fatto tutto alla luce del sole, e hanno teorizzato e reso pubblico il loro rifiuto delle convenzioni. Sono state apertamente, provocatoriamente, libere, nel creare e nell’amare. Pur, come nel caso di Romaine, senza gesti eclatanti. Semplicemente vivendo. In questo libro si parla di loro – e anche di D’Annunzio, Cocteau e dei tanti uomini che hanno frequentato, che le hanno ammirate, amate, oscurate. A queste donne “nuove”, lesbiche o bisessuali, raramente è stata dedicata una piazza, una strada, o una pagina su un libro di scuola: affinché non si possa ricordare con il loro nome la rivoluzione privata e pubblica che hanno compiuto, una rivoluzione possibile.
In Grecia come a Roma, sia pure in forme diverse, il ritrovarsi per mangiare e bere in compagnia era un’attività così centrale e significativa che studiare le due culture dal punto di vista della commensalità, pubblica e privata, consente di indagarle da un angolo prospettico del tutto privilegiato. Tra osservanza delle regole e flagranti infrazioni alle norme; tra intrattenimenti leggeri e riflessioni serie, spesso di taglio propriamente filosofico; tra schermaglie amorose e pensieri di morte, la scena del simposio greco e quella del banchetto romano si presentano particolarmente eterogenee quanto a occasioni, contesti, personaggi. Il volume, attraverso una selezione di testi letterari greci e latini, documenta questa straordinaria varietà di registri, che è poi, a ben vedere, la varietà stessa dei multiformi casi della vita.
Affrontando un tema inedito e controverso, questa seconda edizione del saggio rappresenta un’analisi unica e completa sul sentiero della mano sinistra. In esso, Flowers esamina gli insegnamenti e il ruolo storico di questo antico sentiero attraverso i secoli, rivelando quali filosofi, maghi e figure occulte ne sono stati i veri Signori e spiegando i principi dell’auto-deificazione e dell’antinomismo che ne sono alla base. Chiarisce inoltre in che modo la filosofia della mano sinistra sia il frutto della ricerca di una “legge superiore” fondata sull’indipendenza, il potere e la conoscenza da parte di ogni singolo individuo. Non si tratta dunque di un sentiero nefasto intrinsecamente malvagio, quanto piuttosto di un canale importante per il profondo desiderio umano di libertà e controllo del proprio destino. La prefazione è di Irene Zanier.
C’era una volta una serva che prese il posto di una principessa. La candida figlia dei sovrani era stata promessa al principe ereditario di un regno lontano, ma quando partì per le nozze, sua madre mandò una giovane serva ad accompagnarla. Invece di sottostare alla principessa, però, l’avida e meschina serva le rubò l’identità e la cacciò da palazzo. Di giorno prese a vestire i panni della principessa, di notte a derubare la nobiltà sotto le spoglie della ladra Penny Phantom. Finché non offese la divinità sbagliata, che le scagliò addosso una maledizione: se entro due settimane non avesse fatto ammenda, sarebbe morta ricoperta da pietre preziose.
Una grande storia da un passato che non c’è più, raccontata con gli occhi di un personaggio leggendario che, incredibile a dirsi, è esistito davvero.
Dicono che per vivere felici si debba trovare il proprio posto nel mondo: molti di noi passano la vita a cercarlo, per altri è questione di un attimo. Agostino Faccin, che tutti chiamano «il Moro», la felicità la scopre da ragazzo, tra le montagne di casa, nell’esatto momento in cui capisce che più sale di quota e più il mondo gli assomiglia. Quando gli propongono di diventare il guardiano del nuovo rifugio sul monte Grappa, non ci pensa su due volte. Ma la Storia non ha intenzione di lasciarlo in pace, la Grande Guerra è alle porte, e quella vetta isolata dal mondo diventerà proprio la linea del fronte.
Tutti hanno sentito parlare di Alessandro Magno, ma pochi conoscono la vera storia. Alessandro Magno aveva appena vent’anni nel 334 a.C. quando partì con un piccolo esercito alla volta della Persia, l’impero più grande e potente del mondo. I macedoni marciarono verso l’ignoto, vincendo battaglie in cui erano dati per sconfitti e prendendo d’assalto fortezze inespugnabili. Nei deserti e nelle montagne tra l’Egeo e l’India sottomisero la natura stessa. Eppure, le rivalità e la sete di potere erano destinate a erodere tutto fin dalle fondamenta in un complesso gioco in cui il confine tra traditori e alleati diventava sempre più sottile. Alessandro di Lincestide era generale e amico di Alessandro Magno. Diviso tra il legame di stima nei suoi confronti e il dovere di vendicare i suoi fratelli assassinati, non è mai stato al sicuro. Altri – persiani e greci, e anche macedoni – lo vedevano come un rivale per il trono. Per sei anni di cospirazione e battaglia, mentre l’esercito macedone combatteva verso est, la sua vita è stata appesa a un filo. Tutti hanno sentito parlare di Alessandro Magno, ma pochi conoscono la vera storia.
La grande fortuna, primo volume della trilogia dei Balcani, è il racconto di un matrimonio e di una guerra: un capolavoro brulicante, illuminato da punte di ironia, al cui centro non c’è il campo di battaglia, ma ci sono le sale da tè e la cucina, la camera da letto e la strada, il tessuto di un mondo quotidiano che, pur essendo irrevocabilmente cambiato, rimane immutato. È l’autunno del 1939 e i novelli sposi Guy e Harriet Pringle dall’Inghilterra si trasferiscono a Bucarest. Guy insegna all’università e Harriet, che non ha una vera famiglia, ha accettato di seguirlo in Romania. I due non potrebbero essere più diversi, lui è tanto socievole quanto lei è introversa, e la giovane, con sgomento, si rende subito conto che dovrò condividere l’adorato marito con un’ampia cerchia di amici e conoscenti; tra questi il principe Yakimov, britannico di origini russe caduto in disgrazia, che vive di espedienti e trascorre le notti folleggiando; e la bella Sophie Oresanu, una studentessa universitaria locale che da tempo ha messo gli occhi su Guy. Ma sono ben altre le difficoltà che attendono Harriet: a mano a mano che i giorni passano la minaccia dell’avanzata nazista si fa sempre più concreta e la combriccola di stranieri di stanza a Bucarest assiste con orrore alla disfatta degli eserciti alleati. È un mondo strano e incerto, quello in cui la coppia si ritrova a vivere: i mendicanti bazzicano a pochi passi dagli eccessi dei reali mitteleuropei, mentre i nuovi ricchi imitano la vita alla moda parigina e i giornalisti espatriati si abbuffano di tartufo e quaglie in gelatina in sfarzosi ristoranti. In questo scenario esotico Harriet imparerà a conoscere suo marito, meravigliandosi giorno dopo giorno di fronte alla complessità dell’uomo semplice che credeva di aver sposato.
Sulla spiaggia di un ottobre caldissimo c’è un vecchio signore che legge, scrive, passeggia. Una mattina qualcosa gli leva il respiro, gli sfugge. Cosa se ne sta andando per sempre? Muove da questo istante di smarrimento un racconto vorticoso e raffinatissimo, teso e scanzonato, che insegue Rosa, ombra di madre sarta, morta troppo presto, e Lu, giovane commessa di boutique che, nel tempo libero, coltiva la passione per la canoa. Un libro sulla perdita del proprio mondo, sulla vecchiaia, sull’amore per le donne, sul prodigio e lo smacco della scrittura.
Gli ultimi sessant’anni di Nicola sono stati una corsa. Ha amato, ha promesso molto e dato molto meno, inseguendo un’idea tutta sua di felicità svagata. Ora ha ottantadue anni, e da tredici giorni ha preso in affitto una casa al mare tra le dune. Ogni mattina va a sedersi in spiaggia, in camiciola e calzoncini, quaderno e matita in mano, e osserva una ragazza pagaiare con eleganza tra le onde. Lu ha vent’anni e quando non va in canoa fa la commessa nella boutique di Evelina. A Nico fa venire in mente sua madre, anche se non le somiglia, come del resto nessuna delle donne della sua vita. Una madre morta troppo presto, reinventata dalla memoria e dalla fantasia, una madre che si faceva bella come un’attrice anche solo per uscire a fare la spesa, che cuciva abiti per le sue clienti, ma soprattutto per sé, quasi una disobbedienza, una fantasia peccaminosa, contro la gelosia furibonda del marito. Per questo gli abiti femminili per Nicola sono tuttora una festa, il segno di una passione ancora viva per le donne. Così nella boutique di Evelina assiste incantato, sedotto, al susseguirsi di blazer e caban, taffettà e seta damascata, che le amiche di Evelina prima e Lu poi si scambiano entrando e uscendo dai camerini. In una cittadina ventosa in cui sembra non accadere nulla, Nicola prova a districare le matasse di un variegato catalogo umano fatto di dispetti e pettegolezzi. E allora forse comprarsi un kayak, alla sua età, e andare a caccia di piovre giganti insieme al piccolo figlio di Lu diventa il modo per imbastire la trama di un’infanzia ancora tutta da scrivere, nell’inesausto tentativo di «trovare le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera». Il vecchio al mare ha la malinconia di certi orizzonti meravigliosamente lontani visti la sera da terrazze piene di salsedine, e di quegli incontri casuali, un mattino d’ottobre sul bagnasciuga, che a distanza di tempo ricordiamo con gratitudine. Il nuovo romanzo di Domenico Starnone è un perfetto congegno di erotismo, crudeltà, sottigliezza.
Questo volume è una collezione dei racconti di Ambrose Bierce, pioniere e grande ispiratore della letteratura moderna. Prima di partire per il Messico, dal quale non avrebbe fatto ritorno, “Bitter” Bierce lasciò dietro di sé la fama di intransigente critico dei suoi tempi e più di novanta racconti, perfetta espressione del suo genio satirico, suddivisi in I racconti dell’orrore, I racconti di guerra e Altri racconti, riuniti oggi in un’unica opera. La forza di queste storie risiede in quell’insieme di dettagli realistici ed evocativi utilizzati da Ambrose Bierce per dare vita a racconti cupi e vividi, spesso inquietanti nel loro fatalismo e senso di calamità imminente. Estremamente suggestivi, sono prove eccellenti di satira, caratteristica principale dell’indole narrativa dell’autore, utilizzata per enfatizzare gli elementi tipici del genere horror, la brutalità della guerra e l’assurdità di alcune situazioni, esplorate, ad esempio, negli Altri racconti. Introduzione di Carlo Pagetti.
Un animale selvaggio è un thriller mozzafiato costruito attorno a un meccanismo di suspense perfetto, che ci ricorda perché Joël Dicker, l’autore di La verità sul caso Harry Quebert, è diventato un fenomeno editoriale mondiale.
2 luglio 2022, due ladri stanno per rapinare una importante gioielleria di Ginevra. Ma questo non sarà un colpo come tutti gli altri. Venti giorni prima, in un elegante sobborgo sulle rive del lago, Sophie Braun sta per festeggiare il suo quarantesimo compleanno. La vita le sorride, abita con il marito Arpad e i due figli in una magnifica villa al limitare del bosco. Sono entrambi ricchi, belli, felici. Ma il loro mondo idilliaco all’improvviso s’incrina. I segreti che Arpad custodisce cominciano a essere troppi perché possano restare nascosti per sempre. Il loro vicino, un poliziotto sposato dalla reputazione impeccabile, è ossessionato da quella coppia perfetta e da quella donna conturbante. La osserva, la ammira, la spia in ogni momento dell’intimità. Nel giorno del compleanno di Sophie, un uomo misterioso si presenta con un regalo che sconvolgerà la sua vita dorata. I fili che intrappolano queste vite portano lontano nel tempo, lontano da Ginevra e dalla villa elegante dei Braun, in un passato che insegue il presente e che Sophie e Arpad dovranno affrontare per risolvere un intrigo diabolico, dal quale nessuno uscirà indenne. Nemmeno il lettore.
Salem, Massachusetts, 1851: McGlue è nella stiva, ancora troppo ubriaco per essere sicuro del suo nome, situazione e orientamento: potrebbe aver ucciso un uomo. Quell’uomo potrebbe essere stato il suo migliore amico. La memoria intollerabile si accompagna alla sobrietà. Ottessa Moshfegh veleggia spavalda nella grande tradizione letteraria americana e ci regala un furfante cattivo e senza cuore in un viaggio affilato come un coltello attraverso le nebbie dei ricordi. “Dicono che ho fatto qualcosa di male? Johnson dev’essere arrabbiato e non scenderà a mettere a posto le cose. Non ancora. Mi hanno lasciato quaggiù a morire di fame. In più, non bevo un goccio da giorni. Mi vedranno moribondo e si sentiranno così in colpa che cadranno ai miei piedi e mi daranno delle pagnottelle calde spalmate di burro fresco implorando di perdonarli, tutti quanti: Johnson, Pratt, il capitano, Saunders, il finocchio, tutto il mondo, uno a uno. Mi vedo, come un prete di buon cuore, che annuisco dandogli dei buffetti sul capo. Affonderò la testa in un barile di gin.”
Con le prefazioni di Jorge Luis Borges e Guillermo del Toro, la postfazione di S.T. Joshi, illustre specialista di H.P. Lovecraft, sul quale Machen esercitò un notevole influsso, il libro, come Il re in giallo, è brillantemente illustrato dal grande artista paraguaiano Samuel Araya.
Un essere demoniaco sembra infestare le vie di Londra: è una donna che cela un velo di mistero e di stranezza. Chi l’ha incontrata ha terminato i propri giorni in oscure circostanze, il volto deformato da un rictus d’orrore. Per quale fatalità questa superba creatura semina morte? Ha forse stretto un patto con una potenza malefica? Oppure è stata sua madre, vittima dell’esperienza di uno scienziato folle, a farle intravedere ciò che l’occhio umano non può contemplare? « Forse troverete tutto ciò strano, o addirittura insensato: strano sì, ma reale. Gli Antichi sapevano che cosa significasse “togliere il velo”: lo chiamavano “vedere il dio Pan” ». Capolavoro della letteratura decadente britannica, questo titolo riunisce numerosi racconti (Il grande dio Pan, La luce interiore, La storia del sigillo nero, Storia della polvere bianca, La piramide di fuoco) di Arthur Machen, grande maestro del terrore e del fantastico, autore di un’allucinante opera impregnata di mitologia celtica, di paganesimo e di morboso occultismo.
Capolavoro della letteratura decadente americana, questa raccolta di racconti evoca un universo singolare, amalgama di horror, fantastico e poliziesco.
La lettura di una strana opera teatrale sembra provocare un’inaudita follia in numerosi giovani artisti. Fra pianti, risa e un terrore senza nome, i personaggi vi intravedono un universo onirico degno dei loro peggiori incubi: il mondo di Hastur e di Carcosa, su cui regna lo spaventoso Re in giallo. « Non posso dimenticare Carcosa dal cielo cosparso di stelle nere, dove nel pomeriggio si stende l’ombra dei pensieri degli uomini, dove i soli gemelli affondano nel lago di Hali, e il mio spirito sarà sempre ossessionato dal ricordo della Maschera Pallida. » Sulla scia di Edgar Allan Poe, questo titolo, fra i capolavori del gotico, ha ispirato grandi nomi quali Marion Zimmer Bradley e H.P. Lovecraft, ma anche la fortunata serie americana True Detective. La raccolta è integralmente illustrata da Samuel Araya, che interpreta in una ventina di immagini a colori il sinistro mondo di Robert W. Chambers.
I Dizionari a cura di Mircea Eliade rispondono al progetto di Eliade stesso di trasformare l’Enciclopedia delle Religioni, che in origine era uscita in lingua inglese seguendo un ordine alfabetico, in un’enciclopedia ordinata per temi. La presente edizione dei Dizionari è composta da ventitré volumi (alcuni suddivisi in due tomi) che, di volta in volta, integrano contributi di aggiornamento. Nella storia dell’umanità l’”homo religiosus” assume una modalità specifica di esistenza, che si esprime in diverse forme religiose e culturali. Lo si riconosce dal suo stile di vita: crede all’esistenza di una realtà assoluta che trascende questo mondo e vive delle esperienze che, attraverso il sacro, lo mettono in relazione con questa Trascendenza. Rileviamo che egli crede all’origine sacra della vita e al senso dell’esistenza umana come partecipazione a un’Alterità. È anche un “homo symbolicus”, che coglie il linguaggio delle ierofanie, attraverso le quali il mondo gli rivela delle modalità che non sono evidenti di per se stesse. A partire dal 1959, alcuni paleoantropologi hanno scoperto in Africa l’Homo habilis, il creatore della prima cultura, la cui attività mostra in lui la coscienza di essere creatore. Troviamo gli sviluppi di questa coscienza nell’Homo erectus e, in modo più preciso, nell’Homo sapiens, grazie alla manifestazione dei riti funebri. Le prime tombe che ci offrono una certezza della credenza in una sopravvivenza provengono da Qafzeh e da Skuhl, nel Vicino Oriente, grazie alla presenza di tracce di cibo e di utensili in prossimità degli scheletri: si tratta del 90000 a.C. A partire dall’80000, l’uomo di Neandertal moltiplica questi riti. Dal 35000, nel Paleolitico Superiore, l’Homo sapiens sapiens applica un trattamento speciale al cadavere del defunto: ocra rossa, ornamenti attorno alla testa, conchiglie incastonate nelle orbite oculari, perle d’avorio disposte sul corpo. A partire dall’inizio del Neolitico ci si trova in presenza del culto dei crani conservati dai vivi. Nel V millennio sorge la dea. La scoperta da parte di Maria Gimbutas del sito di Achilleion in Tessaglia offre una visione della religione arcaica dell’Europa grazie alle numerose dee, tra le quali quella della vita e della morte. Il Neolitico ha moltiplicato i riti funerari e ha fornito loro una simbologia sempre più ricca, segno di un’autentica presenza dei vivi nella sopravvivenza dei loro defunti. All’indomani della sedentarizzazione delle popolazioni del Vicino Oriente e dell’invenzione della vegecultura e dell’agricoltura, l’”homo religiosus” si mette a raffigurare delle divinità, la più importante delle quali è la dea. È il grande mutamento dei simboli, che si rispecchia nella credenza in una vita post mortem.
Un viaggio storico nel linguaggio silenzioso dell’anima. Abbracci di madri e di amanti, di santi o di bambini, ma anche scambiati con Dio e con il diavolo. Gesti per sostenere, amare, proteggere, accogliere o trascinare. L’immaginario medievale ci restituisce un ricchissimo repertorio di abbracci, a testimonianza di un’epoca in cui il linguaggio corporeo integrava e talora sostituiva le parole. Questo volume li rintraccia nell’arte e nella letteratura, nei testi sacri e nel teatro. Li ritrova eclatanti ed eloquenti perché espressione di amicizie e amori totalizzanti, snodo di avventure, sigillo di tragici addii e di incontri straordinari. Pur messi in scena entro contesti apparentemente lontani, gli abbracci medievali ci appartengono e parlano di noi.
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