Ho recentemente visto l’ultimo film di Robert Eggers, visionario regista autore di “The witch” e “Nosferatu”, ovviamente perché incuriosita dal tema e dal cast stupefacente.
Quando ho notato nomi importanti come Nicole Kidman e Willem Defoe ho subito pensato che davvero il mondo vichingo stesse conquistando tutti, e anche attori e attrici di quel calibro volessero essere ricordati nelle mitiche vesti, interpretando personaggi molto lontani da ciò a cui erano normalmente abituati.
Prima di andare al cinema avevo deciso di non dilungarmi a leggere recensioni o articoli sul film, per paura che mi rivelassero troppo e poi per non farmi influenzare; le uniche cose che sapevo erano il nome del protagonista, Amleth, talmente evocativo che era difficile non rievocare Amleto, principe di Danimarca, e che la pellicola fosse una sorta di “rivisitazione vichinga” della tragedia di Shakespeare.
Beh, credetemi, le cose non stanno affatto così!
Finita la visione non posso dire che non mi abbia colpita, il film attinge profondamente dalle saghe nordiche, le omaggia e allo stesso tempo le rispetta, mettendo in risalto la potenza degli Dèi, i quali decidevano la sorte di ogni essere umano predestinandolo al suo Destino, e facendo leva su uno degli archetipi più antichi, quello trasformativo del “viaggio dell’eroe”.
Il protagonista, spinto dal senso di vendetta per il torto ricevuto, intraprende una avventura che lo coinvolge dalla fanciullezza fino all’età adulta, dove si ritrova ad affrontare la resa dei conti più difficile e ambire alla risoluzione del proprio conflitto interiore.
Un tema più classico di così è difficile trovarlo! Eppure, l’argomento non risulta mai banale, per quanto si ripresenti in molti film e nella narrativa (dipende sempre da come lo si ritrae!) non ne abbiamo mai abbastanza, proprio perché è uno degli archetipi che più ci rappresenta, che evidentemente più ricerchiamo!
I poemi di tutto il mondo descrivono la “trasformazione alchemica” dell’eroe come una metamorfosi che si compie superando i conflitti, vivendo avventure intrise di allegoria e spesso con la benevolenza o contrarietà degli Dèi.
In “The Northman” questi aspetti ci sono tutti, e al di là delle interpretazioni o di alcune scelte cinematografiche che si potevano evitare, sono queste caratteristiche che ho apprezzato di più, la sua classicità è un valore aggiunto e non un difetto.
Lo scorso anno, durante le ricerche per il mio romanzo e su Ragnar Lothbrok, mi sono imbattuta nella più grande opera che il Medioevo danese ci abbia lasciato chiamata Gesta Danorum o Historia Danica di Sassone Grammatico (XIII sec. d.C.).
In questo tomo di quasi settecento pagine, l’autore ci descrive in ordine cronologico le vicende dei re e degli eroi che hanno reso la Danimarca una grande nazione, basata sulla tradizione orale scandinava e sulle testimonianze scritte in prosa e in versi di carattere eroico ed epico.
Composta da sedici libri, la raccolta affronta la storia della Danimarca, dagli albori intrisi di leggenda fino alla comparsa del Cristianesimo.
È nel terzo e nel quarto libro che ritroviamo Amleto, alle prese con la sua vendetta segreta nei confronti dello zio usurpatore e della madre fedifraga, con tanto di inganni e sotterfugi per nascondere l’astuto piano e mascherando la propria arguzia, fingendosi un folle dalla mente labile e stolta.
Molto di ciò che è presente in Gesta Danorum lo ritroviamo in Shakespeare: gli amici Rosencrantz e Guildestern, l’uccisione di Polonio per mano di Amleto dopo averlo scambiato per il Re al grido di “Al topo! Al topo!”, l’esilio in Inghilterra (che nel testo danese è molto interessante e darà modo ad Amleto di sfoderare la sua intelligenza), e tanti altri piccoli dettagli che rendono inconfutabile l’antica radice da cui il grande letterato prese ispirazione.
Anche l’elemento sovrannaturale nella tragedia ricorda il Nord, gli spiriti inquieti dei morti che tormentano i personaggi sono altrettanto suggestivi nelle cronache danesi, ulteriore conferma che la storia in molti punti coincide.
Tanto per essere chiari, il film non si avvicina neanche lontanamente alla profondità della narrazione shakespeariana, tantomeno a quella dell’illustre Grammatico e si differenzia per molte cose; però ha dalla sua parte la volontà di aver cercato una radice storica precisa e di aver presentato la componente cultuale con grande accuratezza di dettagli, da rendere il contesto molto credibile.
Si avverte la ricerca compiuta dal regista, del tentativo di realismo nei rituali, dell’intimo contatto con gli elementi della Natura di derivazione sciamanica, così importanti nella cultura vichinga e dei dettagli nelle usanze e nei costumi.
Una delle pecche, dal mio punto di vista, è che viene mostrata una comunità un po’ troppo tribale, più “primitiva” di quanto probabilmente fosse in realtà; in questo si vede ancora il vecchio pregiudizio riguardo al periodo storico scandinavo ma immagino sia stata una scelta cinematografica finalizzata a mettere in risalto la componente bellica e di azione.
Se vi è piaciuta questa curiosità sul mondo nordico seguite le mie Pillole Vichinghe ogni venerdì su Instagram e Facebook!