Il caldo micidiale degli ultimi tempi ha rallentato tutte le attività, è difficile muoversi in città, l’unico motivo che ci spinge volentieri a muoverci è per rifugiarci al mare o al fresco sulle montagne, magari rallegrat* da una buona lettura! Infatti, anche questo mese, che molti considerano di stasi, l’editoria si è data da fare per regalarci dei bellissimi momenti di relax! Ecco i romanzi storici e la saggistica in uscita nelle librerie ad agosto!
Yorkshire, estate 1897. É l’ultimo giorno di scuola, e Tommy Green si attarda in classe dopo il suono della campanella perchè spera che Latimer, il maestro, gli consigli di proseguire gli studi. Come il nonno, il padre e i fratelli prima di lui, a dodici anni il ragazzo è destinato a passare il resto dei suoi giorni nel ventre della terra a estrarre carbone. Una sorte fatta di spaventosa fatica, cunicoli soffocanti e polvere nera. Un destino nefasto che ha ucciso suo fratello Dan a diciassette anni, e che lega tutti gli abitanti di Grindley alla miniera di proprietà dei Sedgewick di Silvermoor. La risposta di Latimer è perentoria e raggelante: chi si crede di essere quel ragazzo di Grindley? È il più bravo a scuola, e allora? Lo è solo perché gli altri sono più ignoranti. Non c’è futuro per gente come lui se non il carbone. Ognuno è nato nel posto che gli compete, come tuona il predicatore Tawney ogni domenica dal pulpito. Trascorre quasi un anno, e la primavera successive Tommy conosce Josie Westgate, della rivale cittadina mineraria di Arden. A differenza di Tommy, Josie non ha mai pensato a un destino diverso da quello di moglie di minatore e madre di minatori. Per questo l’incontro con lo spilungone riccio dagli occhi verdi, che sogna di andare in Africa a domare i leoni, è per lei di quelli che cambiano la vita. Ma mentre lui è cresciuto in una famiglia affettuosa, Josie combatte da sempre contro l’incomprensibile disprezzo della madre ed è in balìa, insieme ai suoi compaesani, della crudeltà dei Barridge, padroni spietati con un pezzo di carbone al posto del cuore. Il nuovo secolo però è alle porte e già si annunciano grandi rivolgimenti sociali. Sempre insieme di fronte alle avversità, l’uno a sostegno dell’altra, Tommy e Josie abbracceranno il vento del cambiamento e della rivolta. Verranno a conoscenza di un oscuro segreto che riguarda Heston Manor, la dimora dei Barridge abbandonata in seguito alla tragica morte del primogenito. Un segreto che stravolgerà la loro vita e quella della loro comunità.
Un libro come questo, rimasto finora misconosciuto al pubblico italiano, è di grande attualità in un momento in cui l’incuria, le continue depredazioni e gli interessi incontrollati degli speculatori stanno rovinando l’Italia e trasformando Roma in una delle più caotiche e brutte città del mondo. La crisi dei valori e l’indifferenza della classe politica per i problemi della cultura e dell’arte, tipica delle epoche di transizione come la nostra, ci riporta ad altri periodi storici in cui il sorgere e l’affermarsi di nuove ideologie e di una diversa concezione del mondo contribuirono di proposito a sommergere e adattare alle nuove esigenze il patrimonio culturale del passato.
Manca l’acqua, nella terra che Isaac e Rachel DuPree hanno scelto per la loro famiglia, e un vento violento soffia sulla prateria sollevando sabbia ed erbacce. Siamo nelle Badlands, South Dakota, e l’anno è il 1917. Non piove da mesi e ogni cosa è secca, come le labbra screpolate di Rachel o gli occhi opachi dei suoi figli. Nonostante le asperità di quella vita, Isaac e Rachel non possono abbandonare la casa di legno e i duemilacinquecento acri che affacciano sulle colline, il loro avamposto sulla frontiera dove è così raro vedere, fra i coloni, un uomo che non sia bianco. Dopo anni vissuti in uno spazio scavato nel fianco di una collina, hanno finalmente una casa, e una casa è segno di rispetto, così come la terra, soprattutto se sei nero. La sete, tuttavia, continua a farsi sentire. Un giorno Isaac chiede alla piccola Liz di calarsi dentro il pozzo. La bambina potrebbe cadere e rimanere uccisa o essere morsa dal serpente con gli occhi rossi che tanto la terrorizza. Qualcosa allora si rompe dentro Rachel. La ribellione comincia a farsi strada nella sua testa. Nella sua città d’origine, Chicago, basterebbe aprire un rubinetto per avere dell’acqua. Perché, dunque, vivere di stenti al solo scopo di permettere a Isaac di coltivare il suo sogno di proprietario terriero? L’amore e il sacrificio sono davvero tali quando ne va della vita dei figli e della propria esistenza? E che cosa sono sottomissione e rassegnazione se non una forma di tradimento verso i suoi figli e verso se stessa? Aprendo uno squarcio sulla vita dei coloni neri nella prateria, Ann Weisgarber dà voce a un’eroina indimenticabile che, in una terra desolata, scopre la vacuità del sogno americano e dei suoi valori, illusori come una manciata di polvere.
Chi era Merlino? Un incantatore o un profeta? Il figlio del diavolo o il principe del Bene? Un saggio o un folle? L’opera, intrisa di palpitante romanticismo, ci introduce nel mondo magico di Merlino, dove le profezie s’intrecciano con le avventure, gli incantesimi con gli amori, fino a rivelarci gli aspetti più oscuri e meno conosciuti di questo singolare personaggio in bilico tra mito e letteratura, tra sogno e memoria. Dorothea e Friedrich Schlegel, subendo l’influenza dei cenacoli romantici appassionati ai romanzi storici, tradussero in tedesco, rielaborandolo creativamente, un testo medievale – forse il Merlin di Robert de Boron – ma la loro opera rimase a lungo tempo sepolta nell’archivio di stato di Berlino.
Gli Etruschi accolsero passivamente il mito greco o ebbero una loro mitologia? Ad uno sguardo superficiale sembra che l’immaginario mitologico etrusco sia in tutto dipendente dalla cultura greca. Ma se andiamo ad osservare alcuni manufatti artistici in cui compaiono personaggi del tutto sconosciuti alla tradizione greca, come Vanth, Pava Tarchies e Lasa Vecu, e se ci addentriamo nei più profondi meandri della letteratura classica, in cui troviamo le storie di Tages e della Ninfa Vegoia, di Porsenna e del mostro Volta, ci accorgiamo che una mitologia etrusca vera e propria è esistita.
Texas, 1865, guerra di Secessione, anno quinto. Grazie alla faccia e alla statura da bambino, e al violino Markneukirchen che incanta chiunque l’ascolti, Simon Boudlin è riuscito a sfuggire agli occhiuti reclutatori confederati. Ne ha visti tanti di orrori, il violinista itinerante, e sa soltanto che a nessun costo vuole imbracciare un’arma. Poi però arriva il giorno in cui, coinvolto in una rissa da saloon, viene arruolato a forza. Simon fa resistenza come può, prima all’addestramento, dopo sulle rive del Rio Grande, teatro di un’ultima, inutile vittoria sudista di una guerra ormai persa. Senza nemmeno aspettare il foglio di congedo dai vincitori, Simon prende il largo insieme ad altri tre musicisti che, come lui, sperano di trovare fortuna e soldi altrove: Damon, con la passione per Edgar Allan Poe e il flauto irlandese; Doroteo, tejano e chitarrista; il giovane Patrick, tamburino dell’esercito con il suo bodhràn. Comincia così un vagabondaggio del quartetto di musici attraverso il Texas devastato dalla furia degli eserciti e dalla febbre gialla, percorso da gente affamata e cenciosa, ma anche abitato da una natura intatta e primitiva. Un viaggio irto di difficoltà in cui la musica – quella che i quattro devono imparare a suonare insieme – è la stella polare di Simon, come lo è il pensiero di quella ragazza irlandese con i capelli corvini che gli ha rubato il cuore e che sente come un destino ad attenderlo in fondo a quel lungo cammino. Dopo il successo di Notizie dal mondo, da cui è stato tratto l’omonimo film con Tom Hanks, Paulette Jiles torna con un romanzo di grande atmosfera dove, fra superbe descrizioni e un’attenzione artistica al dettaglio, ci racconta una storia minore, se inscritta nella più grande storia della frontiera, ma che ben presto mostra il suo respiro epico, con i suoi personaggi coraggiosi e vitali, in cui brilla la luce di un’umanità non ancora sconfitta.
Il Rub al Khali, l’Empty Quarter in inglese, il Quarto Vuoto, è il deserto più grande del mondo, il solo luogo in cui, secondo Thesiger, «si può trovare la pace della vera solitudine». Il primo europeo ad attraversare l’Empty Quarter fu Bertram Thomas, un funzionario dell’Indian Civil Service trasformatosi in esploratore nell’inverno del 1931. Il secondo fu Harry St John Philby, il padre di Kim, la spia. Il terzo fu Wilfred Thesiger. La sua impresa, però, cominciata nel novembre del 1945, è stata davvero memorabile: una traversata proibita dal Dhaufar fino all’Oman, nel Golfo Persico, passando per le dune ritenute invalicabili dell’Uruq al Shaiba e costeggiando sabbie mobili assai temibili. Scritto dieci anni dopo l’avventura dell’Empty Quarter in una stanzetta del Park Hotel di Copenhagen, circondato dal plumbeo cielo nordico in modo che la nostalgia del deserto arabo si facesse più lancinante, Sabbie arabe è innanzitutto un’appassionata celebrazione, composta con immediatezza ed eleganza, dei beduini e della loro esistenza. In un tempo fuori dal tempo, tra carovane e soste, silenzi e animate conversazioni, riviviamo in queste pagine la vita di un popolo fiero e generoso, religioso e violento, fatalista e solidale: una vita aspra e affascinante che, una volta conosciuta, non concede a «nessun uomo di restare lo stesso».
Un testo che offre un’eccellente e sintetica introduzione ai simboli, ai glifi e agli alfabeti esoterici con cenni storici e bellissime immagini. Jackson non segue un percorso specifico ma giustappone, anche guidato da analogie grafiche o tematiche, simboli di culture molto differenti tra loro come il giudaismo, il paganesimo, l’alchimia, presentando i segni più evocativi di sistemi a volte molto complessi che per essere approfonditi richiederebbero specifici volumi. La sua è un’accessibile storia dell’occulto e delle origini grafiche di segni, simboli scritture e cifrari appartenenti all’esoterismo occidentale.
È solo un triangolo di terra delimitato dal fiume Adda, lo si può abbracciare con uno sguardo. Ma, nel 1877, agli occhi di Cristoforo Crespi rappresenta il futuro. Lui, figlio di un tengitt, di un tintore, lì farà sorgere un cotonificio all’avanguardia e, soprattutto, un villaggio per gli operai come mai si è visto in Italia, con la sua chiesa, la sua scuola, case accoglienti con giardino. Si giocherà tutto quello che ha, Cristoforo, per realizzare quel sogno. I soldi, la reputazione e anche il rapporto col fratello Benigno, ammaliato dalle sirene della nobiltà di Milano e dal prestigio di possedere un giornale. Per Cristoforo, invece, ciò che conta è produrre qualcosa di concreto e cambiare in meglio la vita dei suoi operai. E la vita della giovane Emilia cambia il giorno in cui si trasferisce nel nuovo villaggio. Figlia di uno dei più fedeli operai dei Crespi, e con una madre tormentata da cupe premonizioni del futuro, Emilia è spettatrice della creazione di un mondo autosufficiente al di qua del fiume, e la sua esistenza, nel corso degli anni, si legherà ineluttabilmente a quella degli altri abitanti di Crespi d’Adda. Come la famiglia Malberti, l’anima nera del villaggio, o gli Agazzi, idealisti e ribelli. Con loro, Emilia vive i piccoli e grandi stravolgimenti di quel microcosmo e affronta le tempeste della Storia: i moti per il pane del 1898, la prima guerra mondiale, le sollevazioni operaie…Tuttavia il destino farà incrociare la sua strada anche con quella di Silvio Crespi, erede dell’azienda e della visione del padre Cristoforo. Nonostante l’abisso sociale che li divide, tra i due s’instaura un rapporto speciale che resisterà nel tempo, e sarà Emilia il sostegno di Silvio nel momento in cui i Crespi – forse diventati troppo ricchi, troppo orgogliosi, troppo arroganti – rischieranno di perdere tutto. Fino all’avvento del fascismo, quando il villaggio Crespi, come il resto del Paese, non sarà più lo stesso. Il racconto appassionato dell’intreccio di destini tra imprenditori visionari e coraggiosi e famiglie operaie: speranze, drammi, vendette e amori in un grandioso ed emozionante affresco storico.
Parigi 1941. Clementine chiude con attenzione la delicata boccetta di profumo. Sa di essere l’unica capace di creare l’essenza giusta per ogni persona e per ogni occasione. Ma non questa volta. Intorno a lei la città rimbomba sotto i colpi dell’assedio nazista. Clementine è scappata a Parigi per ricominciare dopo anni in cui ha usato l’arte profumiera per truffare le persone e ottenere da loro tutto ciò che voleva. È scappata a Parigi per sentirsi al sicuro. Ma ora teme che non possa più essere così. Oskar Voss, un influente membro del partito nazista, si è accorto del suo talento e ha bisogno di lei per scoprire la formula di un profumo potenzialmente letale. Un profumo da proporre a Hitler come arma segreta. Clementine sente con forza il richiamo del proprio passato, ma sa che cedere sarebbe sbagliato. Che, se collaborasse, la vita di migliaia di ebrei, compresa quella della sua amica Zoé, sarebbero ancora più in pericolo. Mentire è sempre stata la sua più grande dote, ma quando tutto quello che ti è più caro è a rischio, non è semplice. La sua scaltrezza, però, può tornarle utile, perché sa come raggiungere i propri obiettivi grazie al profumo giusto. Non le resta che aprire il suo laboratorio e cercare di fermare il piano di Oskar Voss, anche se questo vuol dire compiere le azioni più temerarie della sua vita e mettersi in gioco in prima persona. Solo i segreti della profumeria possono salvarla.
Pasolini è stato un autore «senza dialetto» e «senza casa». Studiare le sue opere significa inseguire il suo percorso umano alla ricerca di una lingua con cui esprimersi ed un paesaggio dove radicarsi. L’inedito e appassionato sguardo da architetto di Gianni Biondillo spazia dal Friuli della mitica gioventù pasoliniana alla Roma suburbana non ancora violentata dall’omologazione capitalista. Per poi, a «genocidio» avvenuto, constatare la fuga del poeta verso nuovi corpi e nuovi luoghi: quelli incontaminati (ma per quanto ancora?) del Terzo e Quarto Mondo. Un saggio che si immerge nei testi, nelle parole di Pasolini per cercare quegli itinerari – poetici, cinematografici, polemici, artistici – forse fra i più disperati e rabbiosi che la letteratura del Novecento abbia saputo consegnarci. Biondillo, da perfetto topografo, cerca in questo libro di ricostruirne la mappa.
1779. Claire e Jamie sono finalmente riusciti a ritrovarsi e ora vivono con la figlia Brianna, suo marito Roger e i loro bambini a Fraser’s Ridge. Avere tutta la famiglia riunita è un sogno che i Fraser avevano sempre ritenuto irrealizzabile. Ma in North Carolina si sentono risuonare i tamburi di guerra. Le tensioni sono sempre più feroci; Jamie sa che tra i suoi coloni ci sono divisioni, ed è solo questione di tempo prima che la loro serenità ne venga intaccata. Anche Brianna e Roger hanno di che preoccuparsi: la loro fuga dal Ventesimo secolo potrebbe non essere stata senza conseguenze, e non sono certi di avere compiuto la scelta giusta per la loro famiglia… Non molto lontano, il giovane William Ransom sta ancora facendo i conti con la scoperta della vera identità di suo padre – e, di conseguenza, anche della sua. E lo stesso Lord John Grey deve affrontare riconciliazioni e pericoli… per il figlio e per se stesso. Nel frattempo, le colonie del Sud si infiammano e la Rivoluzione si avvicina a Fraser’s Ridge. E Claire non può fare a meno di chiedersi quanto del sangue che sarà versato apparterrà a coloro che ama…
Richard Mayhew è un giovane uomo d’affari londinese, una persona di buon cuore e dalla vita prevedibile che si districa quotidianamente tra i capricci dell’ambiziosa fidanzata Jessica e le pretese del suo capo. Ma tutto cambia quando, per strada, si imbatte in una ragazza ferita e decide di aiutarla portandola a casa con sé. Un atto di gentilezza, che lo catapulterà in un mondo fantasmagorico di cui mai avrebbe sognato l’esistenza. Perché sotto le affollate strade di Londra si cela una città parallela popolata di mostri e di santi, di assassini e di angeli, cavalieri in armatura e pallide fanciulle vestite di velluto: le persone che sono precipitate nelle fenditure del mondo. Ora Richard è uno di loro, e deve imparare a cavarsela in quell’universo di ombre e fantasmi che gli appare insieme stranamente familiare e assolutamente bizzarro. Un insolito destino lo attende laggiù…
Ben prima che la globalizzazione si imponesse come concetto comune presente in ogni discorso economico e politico contemporaneo, il mondo tra fine Ottocento e Novecento era già avvolto da un fitto tessuto di scambi sociali e culturali. “In un mondo sempre più piccolo” ricostruisce il ruolo delle istanze globali alla base di istituzioni regolatrici, dalla Società delle Nazioni al Comitato olimpico internazionale, all’Universal Postal Union, e mette a fuoco la dimensione transnazionale caratteristica delle reti sociali di classe, etniche, di genere, religiose, delle grandi manifestazioni espositive (le fiere mondiali, i musei), delle élite professionali di ingegneri, medici, scienziati sociali, urbanisti, dei mass media e delle culture del consumo. Queste correnti determinarono una modernità che sovrapponeva alla fede nella razionalità della scienza e della tecnologia l’attrazione emotiva dell’industria dello spettacolo. In un’epoca di nazionalismi e imperialismi, proprio questa polarità accompagnò ambizioni di espansione territoriale; inaugurando un mondo nuovo, in cui le tecnologie a diffusione mondiale (telegrafo, ferrovie, navi veloci, radio, aviazione, fotografia, cinema…) estesero il loro raggio d’azione, dando il via a una serie di rapidi e drastici cambiamenti. Spesso trascurate nelle storie dedicate agli stati-nazione, le correnti transnazionali evidenziano gli schemi irregolari delle trasformazioni globali, sottolineando la fluidità delle identità spaziali e personali nel periodo compreso tra il 1870 e la fine della seconda guerra mondiale.
In questo secondo volume del suo grande progetto storico-culturale, Krzysztof Pomian ricostruisce l’affermazione del museo nei paesi dell’Europa occidentale dal 1789 al 1850. Si tratta di un periodo breve ma estremamente denso e cruciale per la storia dei musei, che abbraccia la Rivoluzione francese, l’Impero napoleonico e un gran numero di istituzioni museali, dalla Spagna alla Danimarca passando per la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Con la Rivoluzione francese, l’accesso ai capolavori artistici fu elevato al rango dei diritti dell’uomo, e il museo, deputato a garantirne l’esercizio, divenne l’attributo fondante di una nazione. Il rivoluzionario e imperiale Louvre ne è il prototipo. In Europa, l’impatto del 1789 si protrasse fino alla metà del XIX secolo. Il saccheggio praticato dagli eserciti rivoluzionari e imperiali a beneficio della Francia rese gli individui consapevoli del carattere emblematico dei beni artistico-culturali per i popoli, e i musei contribuirono a legittimare il potere del sovrano conferendogli un carattere nazionale. Il Prado, la National Gallery, il British Museum, i musei borghesi di Francoforte e Lipsia così come l’Altes Museum di Berlino, la Gliptoteca e la Pinacoteca di Monaco, il Walhalla vicino a Ratisbona, nonché le innovazioni intervenute nei musei danesi, sono tutti il prodotto di questa dinamica. Con la rivoluzione industriale, che trovò la sua più compiuta espressione nell’Esposizione universale di Londra del 1851, si chiude un’epoca che trasformò per sempre l’istituzione museale, trasformandola in una realtà democratica e nazionale.
Abbandonato dai genitori in tenera età in nome della crudele legge di Sparta, Talos, lo storpio, viene salvato da un vecchio pastore che gli insegna a opporsi a un destino già assegnato. Atene e Sparta, la gloriosa vittoria di Maratona e l’eroico sacrificio delle Termopili: la grande storia dei Greci fa da cornice a una splendida e tormentata storia familiare, un romanzo storicamente rigoroso. Un libro per rivivere il tempo degli dei e degli eroi. Età di lettura: da 12 anni.
La saga viscontea giunge all’apogeo: Gian Galeazzo è il primo italiano a conquistare il titolo di duca, con l’ambizione di fare dell’Italia il suo regno e di Milano una capitale europea. Pronto a tutto per raggiungere i suoi scopi ma anche colto bibliofilo e finissimo stratega, manovrando inarrestabili truppe mercenarie e spregiudicati diplomatici amplia trionfalmente il suo territorio arrivando a nord fino a Belluno e a sud fino a Perugia, e solo la morte prematura gli impedisce di conquistare anche la grande rivale Firenze. La Vipera dalla gloria al baratro: la parabola viscontea rischia l’annientamento sotto il primogenito di Gian Galeazzo, l’inetto e crudele Giovanni Maria, ma dopo il suo assassinio il fratello minore, l’enigmatico Filippo Maria, riannoda tenacemente i fili del dominio familiare. Figure di grande impatto fanno corona alle sfaccettate personalità dei tre duchi: rapaci capitani di ventura pronti a cambiare casacca a proprio vantaggio, come il Carmagnola e Francesco Sforza, papi e antipapi in lotta fra loro, umanisti che cercano nei riscoperti classici gli alti ideali calpestati nelle città italiane preda di lotte intestine, e dolenti figure di donne sacrificate negli ingranaggi della politica, come Caterina Visconti, moglie di Gian Galeazzo e figlia dell’ assassinato Bernabò.
La Cina è una superpotenza economica, un’icona della modernità, uno stato che vive della propria celebrazione, del proprio predominio e delle politiche aggressive nei confronti degli altri paesi. Non è possibile raccontarne gli splendori culturali senza evidenziarne gli impulsi censori e propagandistici: la contraddistingue un’anima altamente contraddittoria. Linda Jaivin ricostruisce le trame e intrecci di questa lunga e ricchissima storia, dedicando particolare attenzione alle donne che hanno dato forma alla nazione che tutti quanti stiamo imparando a conoscere.
«Per capire la mia solitudine avevo bisogno di capire quella di mia madre. E per capire lei dovevo prima capire mia nonna, Rita.» Così Katherine – antico nome di famiglia dietro al quale si cela la stessa Åsbrink – ricostruisce la storia di Rita, il suo arrivo fortuito a Londra a causa di un padre distratto che presto abbandonerà la famiglia, la sua lunga relazione clandestina con Vidal, un ebreo sefardita esule da Salonicco al quale la rigida tradizione famigliare vieterebbe di sposarla, e infine il suo tardivo e malinconico matrimonio. E poi le inquietudini di Sally, la loro prima figlia, insofferente nei confronti del padre e angosciata dal clima antisemita di Londra, che cercherà rifugio in Svezia. Attraverso le vite complicate e insoddisfatte delle due donne, Katherine ripercorre la storia del nonno, Vidal, un uomo nato nell’impero ottomano che nella Londra del primo Novecento non può essere né turco, né greco né tantomeno inglese, ma riconosce come unica vera patria la Spagna da cui i suoi avi vennero espulsi nel XIV secolo. Con la sua capacità di intrecciare i ricordi famigliari e gli eventi storici, Åsbrink ricostruisce le tormentate vicende del popolo sefardita dal Medioevo al secolo scorso, e ne raccoglie il retaggio in un’appassionata ricerca delle proprie origini nella Salonicco di oggi. E nel ricordo della madre e della nonna avverte un legame doloroso, la condivisione del medesimo sentimento di abbandono da cui non può sfuggire e che la porta, con tutta l’intransigenza di cui è capace, a fare i conti con la sua storia e le sue stesse scelte di vita.
Ci vediamo al prossimo articolo con la novità di settembre! Buona lettura!