Nulla ci sconvolge di più di un evento atmosferico che sfugge al nostro controllo e rari sono gli avvenimenti che provocano in noi un turbinio di emozioni, che passano dal terrore più puro fino allo stordimento della meraviglia. Soprattutto, si contano gli autori e le autrici che riescono a trasmettere la straordinaria potenza della natura in poche pagine, senza risparmiarci nulla. Edgar Allan Poe (1809-1849), amatissimo scrittore e poeta, celebre per i suoi “racconti del terrore” scrive Una discesa nel Maelström tra il 1833 e il 1841, «nel quale l”autore finge di riportare la narrazione di un pescatore norvegese sopravvissuto alla terribile tempesta e miracolosamente uscito vivo dal gorgo del Maelström, un fenomeno naturale causato dalle maree che entrando e fuoriuscendo da passaggi stretti in prossimità dei fiordi norvegesi provocano onde anomale e pericolosissimi vortici. Il luogo si trova lungo le coste atlantiche della Norvegia in prossimità delle isole Lofoten; qui, due volte al giorno il flusso e il riflusso delle maree che si scontrano nell’angusto e poco profondo stretto davanti all’isolotto di Mosken genera una corrente impetuosa con onde e vortici del diametro di 40-50 metri. Poe conosceva il fenomeno non direttamente ma attraverso letture e racconti e pertanto la scenografia che descrive non può essere considerata come una descrizione naturalistica ma piuttosto come una trasposizione fantastico-allegorica delle vicende umane.» (A. Ferrini)
Con l’efficacia narrativa che caratterizza le opere di Poe, questo racconto è a dir poco strabiliante: un concentrato di adrenalina, misto a una prosa suggestiva, che ti catapulta con l’immaginazione in quel vortice, in quel gorgo, in quell’incubo. Immedesimandosi nel pescatore le acque pumblee del Mare di Norvegia ti stritolano in una morsa e si percepisce l’orrore, ma anche la meraviglia, di ciò che può aver visto; nulla ti viene risparmiato, come se quel racconto non fosse frutto della mente geniale di Poe ma la cronaca di evento realmente accaduto in tutta la sua crudezza.
La cresta delle onde formava il bordo del vortice ma nessuna goccia di questo cadeva nella voragine del terribile imbuto il cui interno, a perdita d’occhio appariva come una muraglia d’acqua lucida, brillante e cupa che formava con l’orizzonte un angolo di quarantacinque gradi girando vertiginosamente su se stessa con un moto rotatorio, alzando al vento la sua voce spaventosa, metà urlo, metà ruggito, quale neanche la possente cateratta del Niagara alzò mai, nella sua agonia, al cielo.
La descrizione del gorgo e delle emozioni scaturite in chi ha vissuto quell’esperienza rimanendo vivo sono terrificanti, anzi, per essere più precisi: sublimi. La visione kantiana del sublime qui trova il suo compimento. Per Kant, quello stupore e quello sgomento, un sentimento di attrazione-repulsione, che si prova davanti a una manifestazione della Natura che non è misurabile e che supera la nostra capacità di fronteggiarlo, rientrano in quella straordinaria espressione che è il “sublime dinamico”. E la testimonianza del pescatore norvegese rappresenta proprio questo, lui stesso si stupisce di avere uno stato d’animo così contradditorio. La citazione alla filosofia kantiana arricchisce il racconto di Poe, rendendolo vero, potente e universalmente riconosciuto.
Leggere un autore classico è sempre una buona cosa, non si sbaglia mai. Se ci aggiungiamo il fatto che Poe può farci vivere avventure straordinarie, penso che non ci sia bisogno di ulteriori convincimenti. Quello che possiamo fare per conoscere appieno il genio di un autore così prolifico e misterioso è andare a ricercare quelle che sono riconosciute come le sue opere minori. A quel punto scopriremo dei lati nascosti, delle sfumature in più, e magari qualcosa che non avremmo mai sospettato di un’epoca o dell’autore stesso.
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